Attualmente i 5 maggiori titoli dell’S&P500 rappresentano quasi un quarto dell’indice. Ma per State Street non è un rischio
Apple è diventata la prima società americana quotata in Borsa a raggiungere un valore di mercato di 200 miliardi di dollari, un traguardo impressionante che evidenzia il ruolo dominante del produttore di iPhone nell’economia mondiale.
Le azioni di Cupertino hanno infatti superato i 467,77 dollari necessari per raggiungere tale incredibile capitalizzazione e sono più che raddoppiate rispetto al minimo del 23 marzo. A sostenere il titolo, la domanda costante per i dispositivi aziendali e i risultati oltre le previsioni del suo core business di iPhone, dato che milioni di americani ora lavorano da casa.
“Attualmente i cinque maggiori titoli dell’S&P500 rappresentano quasi un quarto dell’indice, mentre Apple è diventata la prima azienda con una valutazione superiore ai 2.000 miliardi di dollari”, spiega Ben Jones, senior multi-asset strategist di State Street, secondo cui questo ha fatto insorgere timori su un’eccessiva concentrazione del mercato.
Paure ingiustificate, a detta però dell’esperto: “Riteniamo che l’attuale livello di concentrazione sul mercato statunitense non sia una novità, oltre ad essere inferiore a quello che osserviamo in altri mercati globali – osserva -. Inoltre, nei periodi di sottoperformance delle società di maggiori dimensioni e di riduzione della concentrazione, non necessariamente i mercati azionari entrano in una fase di declino. Infatti, c’è una relazione leggermente negativa tra la variazione della concentrazione e la performance dell’indice”.
Jones spiega anche che attraverso l’utilizzo di parametri proprietari per determinare la natura sistemica di questi titoli ha riscontrato come attualmente le cinque maggiori azioniLe azioni sono titoli rappresentativi del capitale di una so... Leggi non comportano un rischio sistemico così elevato e come questi parametri siano diminuiti all’aumentare delle dimensioni dei titoli. “In breve – conclude -, un’elevata concentrazione non si traduce necessariamente in un calo delle performance azionarie, quindi riteniamo di poter eliminare questo tema dalle possibili fonti di preoccupazione”.