Secondo Mirabaud non ci troviamo in una bolla che sta per scoppiare. Ma gli investitori non devono lasciarsi prendere da un’eccessiva euforia
No, non siamo di fronte a una bolla delle Ipo, ma sul mercato ci sono tanta euforia e prezzi elevati, fattori che possono portare gli investitori a commettere errori. Ecco perché è bene attenersi a dati oggettivi quando si valuta il prezzo di una società, secondo John Plassard, investment specialist del Gruppo Mirabaud.
“Il 2020 è stato un anno record per le Ipo negli Stati Uniti, con la quotazione di circa 420 aziende, l’88% in più rispetto all’anno scorso, secondo StockAnalysis.com – sottolinea l’esperto -. Le società hanno raccolto 145 miliardi di dollari, un record negli ultimi 30 anni, rispetto al precedente stabilito nel 1999, poco prima della bolla di Internet. A livello mondiale in generale si è registrata la più forte attività di raccolta di capitali per Ipo degli ultimi dieci anni, con 331 miliardi di dollari raccolti in 1.591 Ipo e con un aumento del 42% dal 2019. Una tale euforia sui mercati azionari non si vedeva dalla bolla delle dot-com della fine degli anni ’90. L’indice Renaissance Us Ipo Index è salito di oltre il 113% dall’inizio dell’anno (dato al 10 dicembre)”.
Secondo Plassard, ci sono diverse ragioni per una tale euforia. In primo luogo i tassi d’interesse sono vicini allo zero e dovrebbero rimanere invariati nei prossimi tre anni. Inoltre, l’abbondante liquidità sui mercati (centinaia di miliardi di dollari non allocati) sta alimentato la frenesia agli acquisti. “Si può facilmente pensare che il mercato delle Ipo possa continuare a prosperare durante la prima metà del 2021 (almeno) e sono sempre più numerose le aziende che cercano di accedere al mercato, dato che la domanda resta forte”, osserva.
Stiamo quindi per assistere a una bolla delle Ipo? Per lo specialista degli investimenti la questione è in realtà molto complicata, in quanto dobbiamo considerare una serie di parametri. In particolare: l’euforia dell’investitore, un calo della qualità delle aziende che si affacciano sul mercato, le valutazioni eccessive. Se consideriamo questi 3 punti, vediamo alcune analogie con quanto successo alla fine degli anni ’90.
“In primo luogo gli emittenti (molti delle quali sono grandi banche europee e americane) hanno abilmente alimentato un senso di ansia di perdersi qualcosa, non distribuendo azioniLe azioni sono titoli rappresentativi del capitale di una so... Leggi a ‘chiunque’ in modo da far salire i prezzi”, spiega Plassard, secondo cui è emblematico in questo senso il caso di Airbnb. La società ha infatti annunciato un intervallo iniziale compreso tra i 44 e i 50 dollari, prima di alzarlo bruscamente a un valore compreso tra i 56 e i 60 dollari: il prezzo si è fissato a 144,71 dollari (+113%) il primo giorno di negoziazioni. Insomma, è lecito parlare di una certa euforia ben orchestrata.
“In secondo luogo – prosegue -, parlare della qualità di un’azienda è molto complicato. È difficile fare un confronto, ma durante la prima metà degli anni ’90, le aziende tecnologiche si sono quotate circa 8 anni dopo la loro creazione, e il 75% di loro era redditizio. Al contrario, nei primi anni 2000, le società che si quotavano esistevano da quattro anni e cinque mesi, e solo il 14% di essi stava realizzando un profitto. Oggi le Ipo sono molto più regolamentate e soggette a criteri più severi rispetto a 20 anni fa. È giusto quindi parlare di una differenza di qualità”.
Infine, in termini di valutazioni, nel corso del 2000 gli investitori hanno acquistato azioniLe azioni sono titoli rappresentativi del capitale di una so... Leggi ‘dot.com’ di nuova emissione che al termine della prima giornata di scambio hanno evidenziato un rapporto mediano tra prezzo e fatturato pari a 49,5. “Prima del boom (dal 1990 al 1997) e dopo (2002-2017), hanno pagato solo circa 5 volte i ricavi annuali. Oggi si può parlare di valutazioni eccessive anche per quanto riguarda le Ipo recenti, ma questo vale anche dopo il loro prima giorno di negoziazione e non solo quando arrivano sul mercato”, afferma.
Per lo specialista degli investimenti, calcolare il prezzo di un’Ipo richiede una combinazione precisa di diversi fattori. Primo: il confronto settoriale. “Se la società candidata è attiva in un’area che ha società quotate comparabili, la valutazione comprenderà un confronto dei multipli di valutazione legati ai suoi competitor – chiarisce -. La ragione è che gli investitori saranno disposti a pagare un prezzo simile per un nuovo operatore del settore come lo fanno per le imprese che già presidiano quel segmento”.
Secondo: le aspettative di crescita futura. “La valutazione di un’Ipo dipende fortemente dalle prospettive di crescita dell’azienda. La ragione principale per lanciare un’Ipo è quella di raccogliere capitali per finanziare un’ulteriore crescita e il successo dipende spesso dalle previsioni sull’azienda e dalla sua capacità di crescere in modo aggressivo”, prosegue Plassard.
Terzo: la tempistica. A detta dell’esperto, due società simili possono benissimo avere valutazioni diverse sulle rispettive Ipo semplicemente in conseguenza della data in cui esse hanno luogo. Molte aziende spesso decidono di rimandare le loro Ipo perché ritengono che il periodo non sarà favorevole a una forte domanda.
Infine, quarto fattore è la soggettività. “Più che un fattore alla fine degli anni ’90 – evidenzia – anche l’aspetto soggettivo della valutazione di un’Ipo è estremamente importante”.
“A nostro avviso – conclude quindi Plassard – non ci troviamo in una bolla che sta per scoppiare. In primis perché i fondamentali sono diversi. In secondo luogo, le regole per le Ipo sono cambiate. Infine, abbiamo anche osservato che le recenti prese di profitto su alcuni titoli tecnologici sono ‘servite’ per acquistare le start-up appena arrivate sul mercato, indipendentemente dalla loro valutazione. Attenzione però a non farsi prendere da un’eccessiva euforia”.