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Fed un po’ meno colomba: le ripercussioni su obbligazionario e dollaro

Per Invesco, Powell sta cercando di non farsi trovare impreparato nel caso l’inflazione salga più del previsto. Ecco le possibili reazioni dei mercati

Rispetto alle precedenti, la riunione del Fomc di ieri ha segnato un cambio di passo nella politica della Fed che pur restando accomodante, tra crescita e inflazione oltre le attese, comincia a considerare una exit strategy dal piano di acquisti da 120 miliardi di dollari al mese.

Secondo Luca Tobagi, Cfa investment strategist di Invesco, sono tre gli elementi emersi dal meeting. Il primo è che rispetto alle proiezioni di marzo, la crescita economica prevista per il 2021 è visibilmente più alta (7% vs 6.5%). Invariato invece il 2022 (+3.3%), rivisto al rialzo il 2023 (2.4% vs 2.2%). Invariato anche il longer run (+1.8%). La seconda è che, sempre rispetto a tre mesi fa,  l’inflazione prevista (Personal Consumption Expenditure) per il 2021 è visibilmente più alta sia a livello complessivo (3.4% vs 2.4%), sia a livello core (3% vs 2.2%). Poco variati invece il 2022 (+2.1% vs +2%) e il 2023 (+2.2% vs 2.1%) a livello headline e invariate le stime di lungo periodo e per il 2023 a livello core (2%). 

Infine, terzo elemento, dal comunicato stampa è stata rimossa la frase, che nei mesi precedenti apriva la sezione principale del testo, che la pandemia ha inflitto danni umani ed economici tremendi negli Usa e nel mondo, sottolineando invece i progressi delle vaccinazioni che sta aiutando a contenere la diffusione del Covid-19. A voce è stata sottolineata poi la forza della ripresa, anche se l’evidenza che riguarda il recupero dei posti di lavoro non appare ancora abbastanza forte da far cambiare rotta alla banca centrale nel breve.

“Ci sono variazioni importanti anche nel famoso grafico dei puntini, il ‘dot plot’- sottolinea Tobagi -. Confrontando le proiezioni di ieri con quelle di marzo 2021 e la mediana di giugno con quella di marzo, si nota come le variazioni riguardino il 2023 e adesso, rispetto a marzo, il percorso al momento ritenuto più appropriato per i tassi di politica monetaria vede una mediana dello 0.50% superiore nel 2023: 0.625% vs 0.125%. Risulterebbe anche che un numero molto maggiore di membri del Fomc (13 rispetto ai 5 di marzo) vedano rischi di ‘inflazione al rialzo’. Lo stesso Jerome Powell ammette il rischio (che ovviamente esiste sempre) che l’inflazione possa essere più alta di quanto la Fed pensi. D’altra parte, ha anche invitato a prendere con molte cautele le proiezioni”.

Per lo strategist Invesco, la Fed insomma sta cercando di non farsi trovare impreparata nel caso l’inflazione si muovesse al rialzo con più intensità di quanto previsto nei mesi scorsi e il dot plot lancia un segnale del fatto che un’inflazione per periodi anche prolungati sopra l’obiettivo medio del 2% è accettabile, ma il rischio di lasciare surriscaldare l’economia lo è molto meno e si vuole evitare. “La variabile chiave a questo punto, dopo questo passaggio sul fronte inflazione, è l’andamento del mercato del lavoro – avverte -. La Fed è stata chiara: non ci sono solo il numero di posti e il tasso ddi disoccupazione, ma metriche a più ampio spettro, come la partecipazione della popolazione alla forza lavoro”.

Per Tobagi, sui mercati obbligazionari per adesso stiamo assistendo al replay di quanto visto a maggio: un rialzo del rendimento decennale di circa 10 bps che si sta già un po’ assestando. “Allora i tassi hanno imboccato un sentiero discendente. Adesso si vedrà. Con queste proiezioni, è possibile che la parte media della curva (fra i 3 e i 7 anni) possa risentire un po’ di più”, chiarisce.

Quanto al dollaro, dopo gli annunci di ieri l’euro ha perso l’1% secco in due ore, con la maggior parte del movimento nei primi 30 minuti, e fare previsioni è, a detta di Tobagi, praticamente impossibile.

“Sappiamo però come il posizionamento degli investitori finanziari fosse ancora abbastanza sbilanciato verso la valuta comune. Non è sorprendente, quindi, che ci possa essere un rafforzamento del dollaro, soprattutto se le dichiarazioni della Fed alimentassero incertezza e volatilità sui mercati finanziari. Al momento non sembrerebbe essere il caso, ma non si può mai dire e sappiamo che in caso di discesa dei mercati, il dollaro tende ad essere oggetto di acquisti. Sulla base delle performance degli ultimi 5 anni, non sembrerebbe essere particolarmente probabile allo stato attuale immaginare un rafforzamento del dollaro contro euro che vada oltre 1.1776 nel breve”, conclude.

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