Per Pimco, il dollaro ne uscirà almeno forte quanto prima, mentre il quadro per il renminbi appare più fosco
Il congelamento delle riserve valutarie di una banca centrale non è una novità, ma la Russia è la prima economia globalmente integrata a subire questo destino. Finora si è assistito a conseguenze drammatiche per Mosca, con potenziali implicazioni per lo status del dollaro in quanto principale valuta di riserva del mondo e per la forza del renminbi cinese. “La potenza delle sanzioni sulle riserve della banca centrale russa è guidata principalmente dalle azioniLe azioni sono titoli rappresentativi del capitale di una so... Leggi coordinate di Stati Uniti, Europa, Regno Unito, Canada e Giappone. Questo insieme ha creato de facto una quasi unanimità, tanto che le banche cinesi sono ora riluttanti a trattare con la Russia per paura di sanzioni secondarie. Tuttavia, per la maggior parte dei Paesi al di fuori della Cina, il rischio di sanzioni dovrebbe rimanere basso”, commenta Gene Frieda, global strategist di Pimco, che analizza le ripercussioni per le altre valute.
Un grande interrogativo per gli investitori è infatti fino a che punto le attuali allocazioni di riserve in valuta estera e le allocazioni di portafoglio degli investitori internazionali saranno modificate per paura di future sanzioni, dato che gli investitori esteri cercano di evitare il rischio di perdere capitale o che resti bloccato.
“Se tali riserve non possono essere spostate in luoghi sicuri – osserva l’esperto -, allora il loro valore di protezione può essere considerato limitato e, di conseguenza, l’entità delle passività estere sostenibili può essere inferiore a quanto precedentemente ipotizzato. Il nostro punto di vista è che le riserve si sposteranno verso le valute dei Paesi meno impattati dalle sanzioni. Ne consegue che un premio per il rischio di sanzioni sulle riserve in valuta estera si applica realisticamente solo ai Paesi in cui il rischio di sanzioni coordinate a livello globale è alto. In definitiva, crediamo che il dollaro ne uscirà almeno forte quanto prima, mentre il quadro per il renminbi appare più fosco”.
Per Frieda, da una prospettiva cinese, le sanzioni potrebbero essere dirompenti, date le tensioni in corso con gli Stati Uniti. “La Cina non ha alternative ovvie per i suoi 3,2 mila miliardi di dollari di riserve in valuta estera alle valute di riserva tradizionali e all’oro. Anche se Pechino potrebbe vendere le riserve in valuta estera, ciò appare poco probabile, date le sue grandi passività estere lorde e il suo desiderio di una stabilità valutaria. Le passività estere totali sono salite a 3,6 mila miliardi di dollari alla fine del 2021”, chiarisce.
Se la Cina dovesse ritenere che le sue riserve non forniscano più molta protezione, a detta dell’esperto, una conclusione logica sarebbe permettere al tasso di cambio di fluttuare di più. “La People’s Bank of China continua a gestire saldamente la volatilità del renminbi. La convergenza verso livelli di volatilità realizzati in linea con le altre valute G-10 e dell’Asia implicherebbe un aumento del 100%-125% della volatilità storica del renminbi. Il carry potrebbe essere ancora attraente rispetto ai peer regionali ma il suo status di carry trade di punta sarebbe minato” sottolinea.
Insieme alle tensioni commerciali in corso tra la Cina e l’Occidente, il congelamento delle riserve della Russia ha di nuovo sollevato i timori di un esodo dal dollaro, ma verso dove? “Se il renminbi dovesse continuare a beneficiare dei forti legami commerciali della Cina, è probabile che il suo status di potenziale sfidante del dollaro soffra di una maggiore incertezza per quanto riguarda lo stato di diritto e il premio per il rischio di sanzioni – osserva Frieda -. Le banche centrali più grandi potrebbero essere più riluttanti a detenere renminbi a causa del potenziale rischio di sanzioni occidentali e della conseguente necessità per la Cina di imporre nuovamente controlli sui capitali per gli stranieri. Il renminbi dovrebbe continuare ad attrarre flussi di riserve dai Paesi più piccoli che la Cina domina come partner commerciale e, in una certa misura, dagli esportatori di materie prime, ma dovrebbe restare una quota marginale delle riserve globali”.
La quota di riserve globali in euro dovrebbe rimbalzare in caso di ritorno dei rendimenti in territorio positivo. “I recenti progressi nella riduzione del rischio di disgregazione dell’eurozona sono il presupposto per un aumento dei tassi e una maggiore quota dell’euro nelle riserve globali, attualmente pari a circa il 20% – prosegue -. Riteniamo che lo status di valuta di ancoraggio del dollaro sia stato probabilmente riaffermato dal congelamento delle riserve della Russia, se non addirittura rafforzato. All’ultimo rilevamento, la quota del dollaro nelle riserve globali era del 59%, di poco cambiata rispetto a dieci anni fa. Non intravediamo un elevato rischio immediato di propagazione dalla Russia ad altri Paesi, inclusa la Cina”.
Tuttavia, Frieda prevede conseguenze persistenti attraverso tre canali: gli sforzi della Cina per isolare le sue riserve esistenti da potenziali sanzioni; le valutazioni degli esportatori di materie prime su come investire le riserve in valuta estera ‘fresche di conio’ derivanti dall’attuale boom delle materie prime; infine, i ragionamenti degli investitori esteri, sia pubblici sia privati, sui danni collaterali delle sanzioni finanziarie che potrebbero influenzare la convertibilità degli asset onshore in renminbi.
“Il rischio di sanzioni per la Cina e le politiche economiche sempre più conservatrici della Cina agiscono contro l’ascesa del renminbi come valuta di riserva – aggiunge -. La lezione della Russia è che le sanzioni sulle riserve in valuta estera possono essere potenti, costringendo effettivamente il Paese alla non convertibilità della valuta. Il peso del renminbi nelle riserve globali, pur essendo ancora destinato a crescere, sarà probabilmente limitato al 4%. Per i Paesi che temono di essere sanzionati, le riserve potrebbero costituire un buffer di protezione in misura minore rispetto a quanto ipotizzato in precedenza”.
“Se la diversificazione non è un’opzione, allora una riduzione dei finanziamenti esterni (un’altra forma di deglobalizzazione secolare) è la logica conseguenza. Infine, se la crescita globale delle riserve accelera di nuovo (per esempio, a causa della persistenza di elevati prezzi delle materie prime che favoriscono gli esportatori di materie prime), i titoli di stato dei mercati sviluppati probabilmente ne beneficeranno più di ogni singola valuta, dato che le riserve vengono riciclate nuovamente in asset sicuri tradizionali”, conclude Frieda.