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Chi vince e chi perde con l’euro forte

Per Gam Sgr, il rimbalzo dell’euro di questi giorni, dopo aver toccato il minimo degli ultimi 5 anni, dovrebbe essere una buona notizia per le azioni europee. A patto che non vada troppo oltre

La correlazione fra l’euro e il mercato azionario europeo ha raggiunto il livello massimo dell’ultimo decennio. La moneta unica in questa prima metà d’anno è stata scambiata come valuta ‘risk-on’, ovvero si è apprezzata verso dollaro, yen e franco svizzero nelle fasi di bull market, cedendo il passo invece nelle fasi di debolezza. La forza del dollaro è stata inoltre accentuata dal diverso approccio di Fed e Bce e dal differenziale delle relative curve governative. Ora, però, la situazione sta cambiando con l’inversione di rotta da parte di Christine Lagarde.

“La Banca centrale europea – osserva Paolo Mauri Brusa, gestore del team multi asset Italia di Gam Sgr – potrebbe essere più lenta dei suoi colleghi nell’aumento dei tassi di interesse, ma il dibattito, anche pubblico, fra i diversi membri del board sta evolvendo in modo molto rapido. Solo tre settimane fa, i vari governatori europei avevano iniziato a discutere su un possibile primo rialzo a luglio. Ora stanno parlando apertamente di un aumento di mezzo punto, se porre fine ai tassi negativi già quest’anno e come muoversi successivamente”.

Aumentano quindi le possibilità di un confronto più acceso prima della riunione cruciale del 9 giugno, che dovrebbe suggellare la fine degli acquisti di obbligazioni da parte della Bce e preparare formalmente gli investitori a una manovra sui tassi a luglio e settembre. “Per questo motivo l’euro è rimbalzato da livelli di ipervenduto, molti investitori hanno iniziato a riposizionare i portafogli”, spiega Mauri Brusa, sottolineando che però la relazione tra moneta unica e azioni dell’area dell’euro non è semplice e lineare. 

“Se da un lato una valuta molto debole non è positiva per il sentiment e danneggia in particolare le società più orientate al mercato domestico, dall’altro un rimbalzo troppo forte risulta dannoso per tutte le aziende esportatrici – chiarisce -. L’esposizione globale e la conseguente sensibilità ai movimenti valutari, infatti, sono particolarmente evidenti tra i produttori europei. Gli Stati Uniti rappresentano oltre il 40% delle vendite per 70 large cap europee”. 

Gli utili europei per ora stanno resistendo bene, secondo Mauri Brusa ma le preoccupazioni per i margini sono in deciso aumento. “Consumi discrezionali, food and beverage, in misura minore settore del lusso sono tra i maggiori ‘beneficiari’ di un euro debole. Banche, utilities, settore automobilistico possono invece trarre beneficio da un euro più forte”, conclude.

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