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Value o growth? Tutti e due

Secondo Capital Group, quattro grandi cambiamenti fanno dubitare che ci siano ancorai cicli di rotazione. Meglio ricercare in entrambi gli universi i nomi migliori

I rendimenti costantemente deboli sulle azioni value nel corso dell’ultimo decennio hanno spinto molti investitori a riconsiderare le strategie basate sullo stile. Senza dubbio continueranno a esistere oscillazioni del sentiment, ora in favore di questi titoli ora di quelli value. Dalla crisi finanziaria globale ad oggi, infatti, per ben otto volte gli investimenti value hanno sovraperformato le controparti nell’arco di un mese o più. Ma nessuno di questi movimenti è sfociato in un ritorno decisivo in auge dei titoli value e non è possibile prevedere se l’attuale ciclo value perdurerà nel tempo. 

“Prendendo in esame l’ultimo decennio trascorso – analizza Nisha Thakrar, specialista di Capital Group -, abbiamo identificato quattro cambiamenti principali di lungo corso che hanno contribuito ad aumentare i rischi all’interno della dinamica value-growth. Questi fenomeni sono utili per capire gli eccezionali spread tra valutazioni a cui abbiamo assistito di recente. Suggeriscono altresì che i futuri sviluppi del mercato potrebbero andare ben oltre una semplice rotazione di stile”. 

Per questo, secondo l’esperto, invece di posizionare i portafogli nel tentativo di cogliere la direzione giusta della rotazione,  per gli investitori potrebbe essere più conveniente spaziare nell’intero universo growth e value per identificare i titoli che possono generare in maniera affidabile reddito e apprezzamento del capitale.

Il primo fenomeno riguarda il fatto che i settori ad alto tasso di titoli value sono in calo strutturale. “Le banche e l’energia sono esempi di settori ciclici ad alto valore che affrontano venti contrari che difficilmente si invertiranno dopo una ripresa economica – spiega Thakrar -. I sostenuti bassi tassi d’interesse hanno ostacolato la redditività delle banche dopo la crisi finanziaria, a causa dei bassi margini d’interesse netti: gli spread che le banche guadagnano dai prestiti rispetto ai depositi. Inoltre, una regolamentazione più rigida le ha portate a ridimensionare le loro attività di trading e a ridurre la loro esposizione al rischio per raggiungere la stabilità finanziaria del sistema. Questi fattori hanno messo sotto pressione i dividendi. Mentre le banche cercano di diversificare i loro flussi di reddito e di costruire capacità digitali, dovranno superare la nuova e più agile concorrenza, in particolare le fintech, per diventare vincitori a lungo termine. Nel frattempo, l’attenzione degli investitori sulle questioni ambientali, sociali e di governance (Esg) aggiunge ulteriore pressione, ma potrebbe anche fornire il catalizzatore per le aziende tradizionali per una transizione significativa nelle energie rinnovabili”.

Il secondo fenomeno è la digitalizzazione, conosciuta come la quarta rivoluzione industriale, che ha diviso vincitori e vinti. Alcune aziende hanno iniziato a trarre vantaggio dalle nuove tecnologie e si stanno già trasformando, mentre altre sono rimaste indietro. “Le aziende Big Tech – sottolinea l’esperto – hanno aperto la strada nel permettere progressi tecnologici chiave, come l’internet mobile ad alta velocità, l’intelligenza artificiale e l’automazione, l’uso di analisi di grandi dati e la tecnologia cloud. I loro profondi vantaggi economici e la capacità di riconoscere gli effetti di rete li hanno resi una forza dirompente. Tuttavia, la trasformazione digitale è ancora un fenomeno iniziale. Per esempio, il mercato globale dell’e-commerce vale oggi 4 trilioni di dollari, ma rappresenta solo il 18% delle vendite al dettaglio del 2020”.

In questo senso il Covid ha tracciato velocemente la crescita potenziale nel settore, dato che le vendite globali online sono salite a un tasso del 32% in 12 mesi, raddoppiando il loro tasso di crescita medio storico. “Con la crescita della digitalizzazione, i confini dell’industria possono diventare più sfumati. Le aziende che hanno già iniziato a diversificare al di fuori del loro settore principale hanno visto i loro ricavi crescere del 25% in più rispetto alla media del settore, il che evidenzia che la perturbazione e l’innovazione non sono limitate da etichette di value e growth”, assicura.

Terzo elemento: la riduzione del ventaglio della composizione settoriale. “Nel corso del tempo, la composizione del settore si è ridotta, e alcuni settori oggi consistono quasi interamente di titoli value o growth – sottolinea Thakrar -. Per esempio, le banche sono rimaste dominanti all’interno dell’indice globale value negli ultimi 20 anni, passando dal 16,0% al 10,7%. Tuttavia, all’interno del corrispondente indice di crescita, sono crollate solo dello 0,2% (dal 2,5%). Al contrario, l’hardware tecnologico è salito fino a diventare il 9,0% dell’indice di crescita globale (in precedenza il 5,1%), mentre è rimasto sotto l’1% dell’indice value globale negli ultimi due decenni. Questo non solo rende la diversificazione all’interno dello stile più difficile da raggiungere, ma suggerisce anche che i cambiamenti secolari, in relazione all’industria, sono diventati più influenti per i rendimenti”.

Infine, la crescita dei beni immateriali ha reso sempre più complesso determinare il valore intrinseco. Secondo l’esperto, l’ascesa dell’economia della conoscenza negli ultimi tre decenni ha portato a un aumento significativo degli asset intangibili. Per le azioni statunitensi, la proporzione di asset intangibili rispetto agli asset tangibili è aumentata del 40% in quel periodo, portando a una rappresentazione uguale di entrambi. 

“Gli asset intangibili tendono ad essere non fisici e non finanziari, per esempio il marchio, la fedeltà dei clienti e la ricerca e sviluppo (R&S), mentre gli asset tangibili sono fisici, come i magazzini e le attrezzature – argomenta -. Nonostante entrambi siano significativi per comprendere le valutazioni aziendali, le regole contabili trattano gli intangibili generati internamente in modo diverso, con il risultato di distorcere il valore contabile e i guadagni. Con la tecnologia che si infiltra in una gamma più ampia di aziende e settori, è probabile che gli intangibili diventino una componente maggiore delle attività di molte aziende. Un quadro classico value-growth, che separa i titoli in base a metriche di valutazione che non catturano completamente il modo in cui un’azienda crea valore, non è utile agli investitori che cercano vincitori a lungo termine”.

Insomma, per Thakrar questi quattro grandi cambiamenti secolari fanno dubitare che si possa ancora contare sull’esistenza dei cicli di rotazione tra value e growth nel prossimo futuro. In un quadro complesso in cui gli istituti bancari reagiscono alla minaccia delle fintech, le società energetiche compiono la transizione verso le rinnovabili, i modelli di business subiscono una radicale trasformazione per effetto della digitalizzazione, la composizione settoriale cambia e l’aumento dei beni immateriali mette in discussione i tradizionali parametri di valutazione, è chiaro che il confine tra investimento value e growth diventa sempre più sfumato. “Di conseguenza – conclude -, è anche più difficile continuare a considerare le azioni growth e value come nettamente distinte tra loro. Gli investitori dovrebbero piuttosto ricercare in entrambi gli universi per individuare i titoli che meglio si confanno ai loro obiettivi di reddito e apprezzamento del capitale”.

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