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Risparmio, sui conti correnti degli italiani 61 miliardi in meno

Inflazione

In 15 mesi, tassi più alti e inflazione hanno bruciato buona parte del salvadanaio di famiglie e imprese. L’analisi della Fabi

Il rialzo del costo del denaro della Bce ha cambiato le carte in tavola per famiglie e imprese. E con un “mix imperfetto” di tassi e inflazione, il risparmio accumulato dagli italiani nel corso di anni corre il rischio di andare in fumo. È l’allarme lanciato dalla Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, secondo la cui analisi tra dicembre 2021 e marzo 2023, il saldo totale dei conti correnti di famiglie e imprese è calato di oltre 61 miliardi di euro. Da 2.076 miliardi a 2.015 miliardi. E in soli tre mesi, da dicembre 2022 a marzo 2023, la variazione negativa è stata pari a oltre 50 miliardi. Intanto, si allarga sempre di più la forbice tra l’andamento dei tassi di interesse applicati ai prestiti e ai mutui e quelli su depositi e conti. Se i primi sono, infatti, aumentati ampiamente nel corso degli anni, gli altri sono rimasti pressoché invariati.

Risparmio, in fumo 61 miliardi in 15 mesi

Quanto al risparmio, dall’analisi Fabi emerge già dai primi mesi del 2022, il carovita e l’inflazione non solo hanno invertito la tendenza al risparmio delle famiglie, pressoché prossima allo zero nei primi cinque mesi (in media pari allo 0,2% da gennaio a maggio) e con tassi di decrescita crescenti nel restante semestre, ma hanno  cominciato a erodere le riserve accumulate dal sistema produttivo italiano (per una percentuale pari all’1,4% ovvero 4,4 miliardi di euro), privo ormai di risorse finanziarie da devolvere agli investimenti.

Le famiglie italiane vantavano depositi sui conti bancari per circa 1.163 miliardi di euro alla fine dell’anno 2021 e 1.174 miliardi di euro a dicembre 2022. Mentre la liquidità in conto posseduta dalle imprese si attestava a pressoché 428 miliardi di euro a fine anno 2022 e a 423 miliardi di euro lo scorso dicembre. Le due componenti, complessivamente, superavano i 1.500 miliardi a fine 2022. Queste insieme alle disponibilità liquide di onlus, enti previdenziali ed assicurazioni, sfioravano il tetto dei 2.015 miliardi alla stessa data, contro i 2.076 miliardi di euro a fine 2021. Il decremento complessivo delle risorse depositate è stato pari, in soli tre mesi, a ben 50 miliardi di euro spesi per coprire consumi e investimenti. 

Se si analizzano tutte le forme di giacenza sui conti bancari, sono oltre 61 miliardi di euro i depositi totali “saccheggiati” dagli italiani a partire da dicembre 2021 fino ad arrivare a marzo 2023, per fronteggiare i danni economici subiti da inflazione e il ridotto potere di acquisto. 

Davanti a un periodo di stretta creditizia, anche per l’effetto indotto dall’impennata dei tassi, attingere ai conti liquidi sacrificando il risparmio resta l’unica salvezza. È così che il saldo complessivo di depositi e conti correnti a dicembre 2021 era di 2.076,8 miliardi di euro, contratto a 2.065,5 miliardi già a dicembre del 2022, per poi diminuire ulteriormente a scarsi 2.000 miliardi alla fine del primo trimestre del 2023.  Alla stessa data di fine 2022, sui depositi vincolati a medio-lungo termine del popolo dei risparmiatori giacciono 153 miliardi di euro, in discesa di 2,4 miliardi (-1,6%) su base annua e in calo raddoppiato a 4,1 miliardi (-2,6%) tra dicembre 2022 e marzo scorso. 

Nel primo trimestre 2023 la mazzata più dura sul risparmio

L’allarme rosso sui risparmi degli italiani si affaccia, infatti, con maggiore vigore, alla fine del primo trimestre del 2023. A fine marzo dell’anno in corso, i depositi delle famiglie si contraggono del 2,14% – raggiungendo il valore di 1.149 miliardi di euro – e quello delle imprese di un 7,56%, attestandosi a scarsi 390 miliardi. La variazione media è del 5% e, in termini monetari, di circa 25 miliardi di euro per le famiglie e di ben 32 miliardi per il sistema imprese.

Complessivamente, per tutto il sistema di risparmiatori in soli tre mesi sono stati bruciati ben 89,5 miliardi di euro sui soli conti correnti. Quasi 5 volte quanto attinto dalle riserve degli italiani nei dodici mesi precedenti (ovvero 21,9 miliardi di euro). A marzo 2023, il saldo della liquidità corrente ammonta a 1.368 miliardi di euro, contro i 1.458 miliardi di euro a fine 2022. Con una discesa del 6,1% di valore. La contrazione, già avviata tra il 2021 e il 2022, si è confermata nei primi mesi del 2023, quale segnale sempre più evidente di un clima di tensione per famiglie e imprese. A partire dal 2021, a nulla è servito lo spostamento di una parte della ricchezza liquida su pronti contro termine e depositi vincolati, perché il calo delle riserve complessive parcheggiate sui conti nelle banche italiane è stato del 3%.

Sileoni: “Le banche restituiscano alla clientela i benefici dei tassi alti”

non solo. La Fabi segnala che non c’è solo l’erosione della liquidità che giace in banca a pesare sul risparmio degli italiani, ma anche la sfida che si gioca sui tassi applicati ai depositi. Prendendo in esame i dati più recenti, la forbice dei tassi bancari tra il 2021 e l’inizio del 2023 ha quindi mostrato un aumento in punti base decisamente sproporzionato tra interessi attivi e passivi.

Nell’osservare i dati relativi agli ultimi anni, si nota che a fine del 2021, i tassi attivi applicati dalle banche ai finanziamenti avevano registrato una media dell’1,36% (1,40% per i mutui alle famiglie, 1,31% per i prestiti alle società non finanziarie), mentre quelli passivi sulla raccolta erano stati pari quasi allo 0,21% (0,39% per famiglie e 0,04% per le imprese). Dopo un avvio in linea con gli anni precedenti, il 2022 ha visto crescere progressivamente gli interessi sul credito, “merito” della politica monetaria della Bce, che si sono attestati a dicembre sul valore medio di 3,45%, sintesi il 3,34% dei mutui alle famiglie e il 3,56% dei prestiti alle imprese. 

Con il costo del denaro portato al 3,5% a marzo (poi al 3,75% a maggio), i tassi sui mutui alle famiglie sono arrivati al 4,36% mentre quelli per i prestiti alle imprese sono arrivati al 4,33%.  Non si è verificato un pari aumento, però, per quanto ha riguardato i tassi passivi: gli interessi bancari a favore dei depositi della clientela hanno sfiorato appena lo 0,4%, risultato della media tra quelli alle famiglie (0,50%) e imprese (0,30%).

Se si prendono in esame i dati più recenti, si osserva che la forbice dei tassi bancari tra il 2021 e marzo 2023 ha quindi mostrato un aumento in punti base decisamente sproporzionato tra interessi attivi e passivi. Considerando i mutui delle famiglie, lo spread è stato pari a 296 punti, risultato del passaggio della media degli interessi dall’1,4% al 4,36%. Mentre il differenziale sui prestiti alle imprese ha incassato addirittura 302 punti, dall’1,31% al 4,33%. Quanto invece ai conti correnti, lo spread è stato di appena 24 punti per le famiglie (da 0,02% a 0,26%), mentre è salito con maggior vigore il tasso riconosciuto sui depositi a tempo, da 0,99% a 2,12% con uno spread di 113 punti e quello sui pronti contro termine, aumentato dallo 0,59% al 2,25% con uno spread di 166 punti.

“L’inflazione è la più ingiusta delle tasse, perché colpisce soprattutto chi ha redditi bassi e ha pochi risparmi”, osserva il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Per questo, aggiunge, “è fondamentale che le banche, che hanno beneficiato dell’aumento del costo del denaro, adesso restituiscano alla clientela una parte di quei benefici alzando i tassi d’interesse sui conti correnti”.

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