Approvato dal Parlamento europeo, Women on Boards è un disegno di legge nato peri aumentare la presenza di donne nei consigli di amministrazione
Una presenza di almeno il 40% di donne per incarichi da amministratore non esecutivo e di almeno il 33% per tutti incarichi da amministratore. È l’obiettivo che dovranno raggiungere le società quotate in Borsa dell’Unione europea entro il 30 giugno 2026. A stabilirlo è la direttiva Women on Boards, approvato lo scorso 7 giugno dal Parlamento europeo.
L’ok dall’Europa è arrivato dopo un stallo di 10 anni, con la normativa che è rimasta bloccata in Consiglio Ue fino a quando la presidenza francese del Consiglio ha raggiunto un accordo definitivo con il Parlamento europeo per trasformare in legge la direttiva per la parità di genere nelle aziende quotate in Borsa.
Tra i relatori della proposta figurano Evelyn Regner, attuale vice presidente del Parlamento europeo ed ex presidente della Commissione permanente per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, e Lara Wolter, membro dell’Intergruppo del Parlamento europeo sulla lotta alla corruzione.
Cosa prevede la direttiva Women on Boards
Women on Boards mira a introdurre procedure di assunzione trasparenti nelle aziende in modo che almeno il 40% degli incarichi di amministratore non esecutivo o il 33% di tutti gli incarichi di amministratore siano occupati dal “genere sottorappresentato”.
Le imprese dovranno rispettare tale obiettivo entro il 30 giugno 2026, un anticipo consistente rispetto alla precedente proposta del Consiglio, che prevedeva come data termine il 31 dicembre 2027. La direttiva Women on Boards specifica che, nei casi in cui i candidati siano ugualmente qualificati per una posizione, la priorità dovrà andare al candidato appartenente al genere meno presente.
La normativa inoltre prevede l’introduzione di un obbligo di trasparenza: le società quotate saranno tenute a fornire informazioni sulla rappresentanza di genere nei loro consigli una volta all’anno e, se gli obiettivi non sono stati raggiunti, il modo in cui intendono raggiungerli. Queste informazioni dovranno essere pubblicate sul sito web della società in modo facilmente accessibile. Sono escluse dal campo di applicazione della direttiva le piccole e medie imprese con meno di 250 dipendenti.
A che punto sono l’Europa e l’Italia
Per avere una fotografia oggettiva dell’equilibrio di genere in Europa e in Italia conviene dare uno sguardo ai numeri. Il Parlamento europeo è composto per il 39,3% da donne, nei Paesi Ue le donne ministre rappresentano il 30%, mentre le donne Capo di Stato sono il 14,3 per cento. Percentuali che mostrano a livello europeo dei passi avanti verso la parità di genere, ma che fanno luce su una realtà ancora sbilanciata e poco equa a livello di parità di rappresentazione di genere negli incarichi istituzionali.
E in Italia? Nel Belpaese la situazione è al di sotto della media europea. L’Italia il è al quattordicesimo posto tra i Paesi Ue nella classifica elaborata sulla base del Gender Equality Index, lo strumento sviluppato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) utilizzato per misurare il livello di parità di genere all’interno dei Paesi Ue.
Da notare il passo in avanti compiuto dal Governo Draghi, con l’esecutivo italiano che aveva la percentuale più alta di donne con incarichi istituzionali (il 42,4%). Un risultato importante rispetto al Governo precedente, il Conte-bis, che deteneva una percentuale di rappresentanza femminile del 33,3 per cento. Solo una volta, nei 67 Governi che si sono succeduti nella storia repubblicana, l’Italia ha avuto un esecutivo con un numero pari di ministri uomini e donne: il Governo Renzi, ma soltanto per i primi otto mesi (considerando i sottosegretari il dato percentuale scende e si attesta al 27,5%).
Il ritardo italiano
Se guardiamo più in profondità, scopriamo che in Italia il ritardo accumulato nel mettere in gioco reali politiche di parità di genere è riconducibile a una situazione endemica di “ostracismo” verso le componenti femminili della macchina amministrativa. Risulta chiaro guardando i risultati delle elezioni amministrative del giugno 2022, quando sono state elette solo 3 donne alla carica di sindaco su 26 capoluoghi chiamati al voto.
Non cambia la situazione se si guarda il mondo delle attività produttive, del business e delle società quotate italiane. Infatti la percentuale di donne Ceo (Chief executive officer, ovvero amministratore delegato) in Italia è scesa, secondo il report di EWOB (European Women on Boards), l’associazione europea per l’uguaglianza senza scopo di lucro con sede a Bruxelles, del 2022 al 3% (nel 2021 era il 4%), il che posiziona l’Italia in fondo alla classifica assieme a Germania (3%) e Svizzera (2%) e dietro a Spagna (4%) e Portogallo (6%), contro il 26% della Norvegia, il 18% della Repubblica Ceca e il 14% della Polonia.