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In Italia si andrà in pensione a 71 anni

Fondi pensione o Tfr?

Età pensionabile tra le più alte dell’area Ocse per chi inizia ora a lavorare. Ma oggi si può andare a 61,8 anni. La situazione peggiore si prospetta per gli autonomi

La generazione che inizia a lavorare adesso si metta l’anima in pace: per andare in pensione ci vorrà del tempo. Per l’esattezza si dovrà attendere di aver compiuto 71 anni. La previsione arriva dall’Ocse, secondo cui in Italia l’età pensionabile è destinata a toccare livelli record rispetto agli altri Paesi dell’area, mentre gli assegni sono destinati ad alleggerirsi.

La previsione: italiani in pensione più tardi di tutti

Nel rapporto “Uno sguardo sulle pensioni”, l’Organizzazione parigina colloca infatti il nostro Paese ai vertici per età pensionabile futura. Davanti a noi solo la Danimarca (74 anni), l’Estonia (71 anni) e i Paesi Bassi (71 anni). La media Ocse si ferma invece a 66 anni per la generazione che accede adesso al mercato del lavoro. 

“L’Italia – si legge nel report – figura tra i sette Paesi dell’Ocse che collegano l’età pensionabile prevista per legge alla speranza di vita. In un regime Ndc (Notional Defined Contribution) tale legame non è necessario per migliorare le finanze pensionistiche, ma mira a evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse e a promuovere l’occupazione in età più avanzata”.

Chi va in pensione ora è privilegiato

Per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’introduzione del regime pensionistico nazionale a contributi definiti, avvenuta nel 1995, che adegua le prestazioni all’aspettativa di vita e alla crescita economica, sarà pienamente efficace solo intorno al 2040.

Ad oggi, invece, tutte le diverse opzioni disponibili per andare in pensione prima dell’età pensionabile prevista dalla legge abbassano l’età media di uscita dal mercato del lavoro. Questa è infatti pari mediamente a 61,8 anni contro i 63,1 anni della media Ocse. 

“La concessione di benefici relativamente alti a pensionati giovani fa sì che la spesa pensionistica pubblica dell’Italia si collochi al secondo posto tra le più alte dei Paesi dell’Ocse, pari al 15,4% del Pil nel 2019”, avvertono da Parigi.

Per gli autonomi pensione più leggera del 30%

Negli ultimi 20 anni, la crescita dell’occupazione, anche attraverso carriere più lunghe, ha compensato oltre metà della pressione dell’invecchiamento demografico sulla spesa pensionistica. Spesa che comunque è aumentata del 2,2% del Pil tra il 2000 e il 2017. È fondamentale, quindi, che l’occupazione cresca perché il sistema pensionistico tenga.

Sarà però comunque impossibile rimediare alle profonde disparità tra i diversi trattamenti. E saranno gli autonomi ad avere le pensioni più basse. Il loro assegno peserà infatti il 30% in meno rispetto a quello di un dipendente con la stessa anzianità contributiva, a fronte di una media media Ocse è del 25%. Colpa del fatto che  le aliquote contributive dei lavoratori autonomi sono inferiori di un terzo rispetto a quelle dei dipendenti.

L’Organizzazione sottolinea inoltre che in Italia il  tasso di sostituzione netto (il rapporto tra l’ultimo stipendio e la pensione ) è dell’82% per i lavoratori con una carriera senza interruzioni e con salario medio. Un rapporto più alto rispetto a un tasso del 62% medio dell’area. Andando in pensione 3 anni prima, a 68 anni, il futuro  tasso di sostituzione netto scende sostanzialmente al 72%, un valore che rimane alto in un confronto a livello internazionale. 

Non è però possibile attendersi tassi così elevati di sostituzione per tutti i lavoratori. In particolare le pensioni delle lavoratrici autonome sono tra le più basse dei Paesi dell’area Ocse. In Italia, una donna che inizia a lavorare a 27 anni e rimane disoccupata per 10 anni durante la sua vita professionale, riceve un assegno del 27% inferiore a quello di una lavoratrice a tempo pieno. La media Ocse è del 22%.

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