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Attenti alla doppia inflazione

Prendere decisioni basate su una parziale comprensione della differenza tra inflazione e prezzi relativi può causare brutte sorprese

Di Peter De Coensel, cio fixed income di Dpam

Il dato del 4,2% a/a del Consumer Price Index statunitense rilasciato la scorsa settimana ha portato il dibattito sull’inflazione a nuovi livelli. Come avvenne nel 2008, si profila l’ipotesi che la banca centrale statunitense sia “dietro la curva” ovvero non stia applicando una politica monetaria tale da contenere l’inflazione. Il mantenimento della stabilità dei prezzi è un obiettivo primario della Fed. Nel marzo del 2020, la Fed ha abbassato i tassi a zero e ha scatenato un aggressivo acquisto di asset per evitare uno shock deflazionistico che avrebbe portato a un crollo dei prezzi di beni e servizi, così come dei livelli di reddito e di salario. La reazione iniziale della FED è stata richiesta e misurata, mentre le economie globali si sono letteralmente fermate. Circa 15 mesi dopo, il mondo spera che la vaccinazione di massa sia la soluzione giusta contro la pandemia.

Le banche centrali non hanno alcun potere nel combattere i cambiamenti dei prezzi relativi. Tuttavia, possono controllare l’inflazione. La crescita dell’inflazione si manifesta nel momento in cui le banche centrali aumentano l’offerta di denaro in modo smisurato e persistente oltre la crescita nominale del Pil. La parola “persistente” è fondamentale in questo: il Qe non può e non deve essere applicato sempre. Osserviamo che proprio in questo momento, la crescita globale dell’offerta monetaria ha raggiunto un punto di svolta. Il maggior contributo all’aumento dell’inflazione mensile dello 0,8% la scorsa settimana è stato dovuto all’aumento dei prezzi (+10,1%) delle auto usate e di seconda mano, che hanno contribuito per lo 0,35%. Altre impennate dei prezzi per singola voce sono state visibili nel settore alberghiero (+7,6%) e nelle tariffe aeree (+10,2%). Affermare che l’inflazione sia legata esclusivamente ai prezzi del petrolio, dei viaggi o ai salari, in modo isolato, non è quindi verosimile.

Ciononostante, gli attori economici sono preoccupati. Dobbiamo concentrarci sulla velocità con cui l’impulso monetario reflazionistico filtra attraverso i salari e i prezzi. Le variazioni dei prezzi relativi non sono un fenomeno monetario ma il risultato dell’aggiustamento dei prezzi guidato dagli squilibri tra domanda e offerta. Trasmettono però informazioni sulla scarsità di beni e servizi specifici. Le informazioni vitali sono raccolte attraverso i movimenti dei prezzi relativi e guidano un’efficiente allocazione delle risorse nei sistemi economici basati sul mercato. L’inflazione in quanto tale non fornisce alcuna informazione utile sulle nostre opzioni di consumo, produzione o mercato del lavoro. Inoltre, quando si prendono decisioni basate su una parziale o incorretta comprensione della differenza tra inflazione e prezzi relativi, i risultati potrebbero sorprendere negativamente.

In una certa misura, il deprezzamento del dollaro Usa è un altro fattore che esercita una pressione al rialzo sui prezzi relativi di molti prodotti e servizi. Un suo deprezzamento aumenta il prezzo in dollari dei beni importati negli Stati Uniti mentre abbassa il prezzo in valuta estera di tutti i beni denominati in usd, prodotti negli Usa o fuori dagli Usa, e riduce il potere d’acquisto (non in dollari) degli esportatori di materie prime. Se il potere d’acquisto è dalla parte dei paesi Opec, il calo del dollaro potrebbe indurli ad aumentare i margini di profitto, mettendo ancora più pressione sui prezzi in dollari delle materie prime scambiate a livello globale. Questo è ciò che si sta verificando oggi, ma non è una ragione per aspettarsi un’inflazione strutturale più alta.

Siamo consapevoli che i mercati finanziari statunitensi si stanno nuovamente preparando per un periodo di inflazione superiore alla media. Osserviamo che questi mercati non cadono nell’errore di confondere le pressioni relative sui prezzi con l’inflazione. Le aspettative d’inflazione Usa a 10 anni pongono l’inflazione Cpi Usa yoy al 2,54% in media. Nei prossimi 5 anni, il mercato si aspetta un’inflazione annualizzata del 2,71%. Il nuovo strumento di politica della Fed denominato Average Inflation Targeting (Ait) è stato prezzato!

Da questa parte dell’Atlantico, abbiamo meno motivi per rallegrarci. Le aspettative d’inflazione tedesche si sono normalizzate verso l’1,44% su un orizzonte di 10 anni, ancora ben al di sotto del 2%. Ma, ancora più preoccupante, notiamo che le aspettative di inflazione a 5 e 2 anni si fermano rispettivamente all’1,35% e 1,02%. In effetti, uno scenario giapponese si profila ancora per l’Ue e il rafforzamento dell’euro non è di buon auspicio. Non appena gli effetti di base svaniranno e la Bce non potrà aggiustare significativamente il suo percorso d’inflazione sul loro orizzonte di proiezione verso il 2,00%, i mercati non saranno clementi con i detentori di obbligazioni europee legate all’inflazione.

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