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Azionario, ecco quando si potrà smettere di essere cauti

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Per Generali Investments, una posizione di sottopeso azionario è giustificata a breve termine. Ma la fine dell’anno potrebbe marcare un ritorno di interesse

I dati di ottobre hanno rivelato un’inflazione più resiliente rispetto a quanto previsto in precedenza, tuttavia i mercati sono stati in grado di metabolizzare il dato. In particolare, come fa notare  Michele Morganti, senior equity strategist di Generali Investments, l’indice dei settori più ciclici nell’Area euro è cresciuto del +7,5%. “In effetti – osserva – le banche centrali hanno iniziato a segnalare una futura debolezza economica in occasione degli ultimi rialzi dei tassi jumbo: l’orologio del ciclo economico sta avanzando e il pivot della Fed si fa più vicino”.

Anche il posizionamento è fondamentale, secondo lo strategist: rimane molto contenuto e probabilmente, in assenza di grandi eventi negativi sul fronte del credito, aiuta a spiegare una volatilità azionaria relativamente contenuta. “Quest’ultima è scesa da 31,6 a 27,4 nel mese di ottobre e, soprattutto, è ulteriormente diminuita rispetto alla volatilità obbligazionaria rappresentata dall’indice MoveE. Il rapporto Vix/Move ha raggiunto il minimo dal 2020”, sottolinea.

In sintesi, quindi, il posizionamento e la volatilità relativa delle azioni rispetto alle obbligazioni, oltre al riconoscimento dell’imminente debolezza economica da parte delle banche centrali, stanno fornendo alcuni motivi di ottimismo agli investitori e inducendo rialzi temporanei. “Quest’ultimo, a nostro avviso, potrebbe però non essere sostenibile nel breve termine”, avverte però Morganti.

“In effetti – chiarisce – il premio per il rischio Usa non è oggi interessante, avendo raggiunto un minimo storico. Anche il settore tech statunitense mostra segni di sopravvalutazione (30%) nonostante il calo del 30% dei prezzi da inizio anno. Il price/earning sembra troppo alto rispetto ai tassi reali e i più elevati spread creditizi rivelano un rendimento da dividendi molto meno interessante rispetto ai rendimenti BBB. In sintesi, le valutazioni non sono ancora confortevoli e, in teoria, richiederebbero che l’indice S&P scenda a circa 3.400 prima di ricominciare a sembrare interessante”.

“Inoltre – aggiunge -, poiché anche gli utili sono molto probabilmente a rischio, riteniamo che la nostra posizione di sottopeso azionario sia giustificata a breve termine. Nel prossimo futuro potremmo diventare neutrali, se le banche centrali riconoscessero ancora di più la debolezza economica, o il mercato diventasse più conveniente e il rallentamento degli utili più visibile”.

Per Morganti, lo slancio degli utili negli Stati Uniti è stato finora resiliente e si prevede che la stagione di reporting del terzo trimestre vedrà una crescita annuale ridotta ma comunque positiva. Le aspettative di crescita, escludendo il settore dell’energia, sono già diminuite di 9 punti percentuali da fine giugno, raggiungendo il -3,5% anno su anno e lasciando spazio a possibili sorprese positive rispetto alle aspettative degli analisti.

“Tuttavia – conclude -, vediamo che il tono delle indicazioni delle aziende è più negativo rispetto al secondo trimestre. Stimiamo che la crescita degli utili per il 2023 sarà del +2% anno su anno per gli Stati Uniti e prossima allo zero per l’Area euro. Le nostre previsioni sugli utili sono al di sotto del consenso, con rischi ancora rivolti al ribasso, principalmente a causa del continuo aumento dei costi e delle revisioni negative del Pil. Il divario rispetto al consenso Ibes nel 2022-2024 va dal -3% a -11% e da -7% a -15%, rispettivamente per Usa ed Europa”.

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