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Azionario tech, è ora di vendere o no?

Secondo Lgim meglio tenere le posizioni. Perché il settore può vantare tanti punti di forza, ha valutazioni non eccessive e non mostra un eccesso di rialzo

Dopo anni di sovraperformance, anche in questo 2020 il settore tech ha visto risultati sorprendenti, almeno finora. E la domanda che si stanno ponendo tutti gli investitori è la stessa: siamo arrivati al momento di vendere (sell the rally) o è meglio continuare a mantenere la posizione di fronte a questo trend?

Non è ancora ora di vendere, secondo Lars Kreckel, global equity strategist di Legal & General Investment Management, che inizia con l’elencare i numerosi punti di forza del tech: “Ha buon posizionamento, che gli permette di beneficiare dei trend del post-pandemia; l’alta liquidità del settore consente di effettuare investimenti opportunistici, in uno scenario nel quale prevediamo un’accelerazione del passaggio di molte attività all’online; il tech è un probabile vincitore in uno scenario di bolla per gli investitori-retail; beneficia di un clima di bassi tassi d’interesse perduranti per molto tempo; è più in grado della maggior parte dei settori di aumentare gli utili attraverso tagli dei costi, riacquisti o dividendi; è relativamente immune all’aumento del costo del lavoro attualmente in atto negli Stati Uniti; ha un’esposizione diretta al ciclo del credito relativamente bassa, anche se il segmento del capitale di rischio del mercato potrebbe incontrare difficoltà e questo potrebbe avere alcune ricadute; si colloca nel segmento dei costi elevati del mercato statunitense, ma le sue prospettive di crescita rendono accettabili le valutazioni”.

Kreckel spiega che Lgim aver da tempo adottato linee guida ben precise che spingono a ridurre tatticamente l’esposizione alla tecnologia in presenza di due fattori: valutazioni troppo alte e/o un’eccessiva tendenza al rialzo.

Ma le valutazioni sono eccessive? “È sorprendente notare come, nonostante la sua sovraperformance, la valutazione relativa del settore rispetto all’indice S&P 500 oggi sia la stessa di gennaio – evidenzia lo strategist -. Questo elemento rappresenta una grande differenza rispetto all’impennata del tech nei primi anni ’90, guidata prevalentemente dalle valutazioni. Tutto ciò può sembrare controintuitivo, ma si può capire guardando alle aspettative sui guadagni relativi, che crescono di pari passo con i prezzi relativi”.

Pertanto, secondo Kreckel mantenere una posizione lunga sulla tecnologia significa essere convinti di un cambio di passo importante nell’andamento dei guadagni relativi, aspetto che non sembra poi così inverosimile, vista l’accelerazione di alcuni trend di cui sopra.

“Tuttavia – precisa -, quantificare questa variazione in una prospettiva macroeconomica è praticamente impossibile, ma fortunatamente ci sono un bel po’ di elementi che ci rendono fiduciosi nel fatto che le stime del consensus sull’andamento dei guadagni possano effettivamente essere raggiunte”.

In primo luogo, per lo strategist c’è stata una significativa differenziazione nella revisione degli utili del settore tecnologico, che va oltre un aggiornamento generale dei grandi nomi che vi operano. Inoltre, è incoraggiante il fatto che nelle recenti reporting seasons, le società abbiano continuato a superare le stime degli analisti, nonostante questi continuassero ad aumentarle. Infine, questa caratteristica di battere le attese non riguarda solo il 2020. Insomma, per Kreckel non c’è nessuna prova materiale che le previsioni degli analisti per questo settore siano eccessive.

“A livello di sentiment, è impossibile dire che il tech sia un settore impopolare, ma non per questo vediamo segnali di un eccesso di rialzo. La tecnologia ha goduto per un decennio di consenso tra gli investitori istituzionali, e anche le rilevazioni più recenti rientrano perfettamente in questo scenario. Sul fronte degli investitori retail, i dati mostrano che questi hanno al più rivisto le loro posizioni sottopesate”, aggiunge.

Quanto alle incertezze all’orizzonte, come presidenziali Usa e guerra tra Washington e Pechino, lo strategist ricorda che nessun investimento è privo di rischi e la tecnologia non fa eccezione. “Qui, i due aspetti da tenere maggiormente in considerazione sono le pressioni normative e la potenzialità di una recessione ciclica – avverte -. Iniziando da quest’ultima, riteniamo che il rischio sia limitato, perché ci vorrebbe tempo prima che si venissero a creare quegli eccessi che tendono a portare la fine di un ciclo economico senza la presenza di un fattore esterno”.

Quanto alla regolamentazione, lo scenario di riferimento di Lgim è un suo progressivo inasprimento. “In questo ambito, un fattore che potrebbe avere un peso sono le elezioni presidenziali statunitensi, anche se è nostra opinione che un risultato negativo per il tech sia un’eventualità molto remota – precisa -. Un secondo mandato di Trump potrebbe a lunghi tratti rappresentare una continuazione di quanto visto negli ultimi anni, mentre una vittoria di Joe Biden è uno scenario meno certo, ma Biden non ha mai mostrato una particolare passione per questo tema ed è quindi improbabile che la regolamentazione del settore tecnologico sia una priorità. Tuttavia continueremo a monitorare la situazione e terremo d’occhio gli avvenimenti futuri.

Infine, il fatto che la supremazia tecnologica sia un aspetto centrale nella lotta geopolitica tra Cina e Stati Uniti per Kreckel allontana ulteriormente l’evenienza di una regolamentazione più aspra che certamente andrebbe a danneggiare questi ultimi. “In conclusione, per adesso e pur rimanendo vigili nel cercare segnali di eccesso nella corsa del tech, decidiamo di mantenere la nostra posizione in questo settore”.

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