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Banche centrali, le conseguenze della svolta hawkish

Per Lfde, la situazione monetaria dovrebbe contribuire a ripristinare concetti come: qualità, valutazioni ragionevoli, bilanci sani e pricing power

Il ritmo dei tagli agli acquisti netti di attivi raddoppia, il Consiglio dei governatori annuncia tre rialzi dei tassi nel 2022 e altrettanti nel 2023, si dà la priorità alla lotta contro l’inflazione e non al raggiungimento ad ogni costo della piena occupazione. La svolta della Fed è ormai innegabile e va in direzione di una stretta. Ma Powell non è solo: sulla sua stessa strada stanno infatti incamminandosi praticamente tutte le banche centrali.

Anche se non coglie di sorpresa, visto che il percorso era stato preparato in precedenza, quanto avvenuto rappresenta secondo Enguerrand Artaz, gestore di La Financière de l’Echiquier, un cambio di rotta importante. Preannuncia, infatti, un periodo in cui andrà riducendosi il sostegno delle banche centrali all’economia e ai mercati. 

“La Fed, per giunta, non è da sola – evidenzia appunto Artaz -. La Banca d’Inghilterra ha infatti annunciato non un altro atteso rinvio ma il primo rialzo dei tassi ufficiali cui aveva rinunciato il mese scorso a dispetto di quanto pensassero gli osservatori. Per combattere l’inflazione, elevatissima ormai, molte banche centrali dei principali Paesi emergenti (Brasile, Messico e Russia, per esempio) hanno già varato degli aumenti significativi dei tassi negli ultimi mesi. E anche le banche centrali più accomodanti stanno iniziando a chiudere i rubinetti. La Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone hanno annunciato la fine prossimamente dei programmi di acquisto di attivi lanciati nella primavera del 2020. A distinguersi è rimasta soltanto la Banca Popolare Cinese, decisa ad andare in aiuto dei settori più fragili dell’economia domestica”.

Per il gestore questo contesto indubbiamente restrittivo non significa, tuttavia, la fine repentina degli aiuti monetari da parte delle banche centrali come dimostra, ad esempio, la somma dei bilanci della Fed e della Bce, pari oggi a più di 18 trilioni di dollari, quasi il doppio del livello registrato all’inizio del 2020. E anche se questi bilanci smetteranno gradualmente di crescere con la fine dei programmi di acquisto di attivi, il reinvestimento dei titoli in scadenza rimarrà una fonte massiccia di liquidità finché non inizierà la fase di riduzione delle loro dimensioni. Inoltre, stando all’esperienza degli ultimi anni, le banche centrali sapranno dimostrarsi flessibili se la solida tendenza di crescita attuale dovesse rallentare.

Questa svolta restrittiva delle banche centrali non sarà però priva di effetti sui mercati degli asset rischiosi. “Una fase di rialzi dei tassi non depone statisticamente a sfavore dei mercati azionari, purché siano graduali e caratterizzati da una tempistica chiara – precisa Artaz -. La riunione della Fed ha contribuito a migliorare la visibilità dei mercati sul percorso della stretta monetaria. Rimane però il rischio di una nuova accelerazione a sorpresa del calendario per affrontare l’inflazione. Si ha tuttavia la certezza del fatto che una stretta monetaria netta influenzerà le esigenze degli investitori in termini di valutazioni”. 

“Dopo quasi due anni durante i quali i mercati sono stati alimentati da flussi massicci, a scapito spesso di ogni forma di razionalità sui prezzi, questa nuova situazione monetaria dovrebbe contribuire a ripristinare concetti quali: qualità, valutazioni ragionevoli, bilanci sani e pricing power”, conclude il gestore.

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