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Banche centrali: stop, pausa o bis?

Per Carmignac, il ritmo a cui i tassi vengono alzati sta rallentando o si sta arrestando, ma non significa che il ciclo di aumenti sia terminato. Le banche centrali dipendono dai dati: meglio prepararsi a diversi scenari

Una pausa per la Fed che resta attendista, un bis per la Bce e diversi possibili scenari per gli investitori. È quanto prevede Kevin Thozet, membro del Comitato investimenti di Carmignac, che fa il punto in vista della settimana delle banche centrali.

Pausa per la Fed

Per Thozet, la Fed ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissata. Ha portato cioè i tassi di interesse al livello previsto ed è riuscita a dissipare le aspettative di un taglio dei tassi per il resto dell’anno. Ma questo non significa che il lavoro dei policymaker è finito. “Secondo le nostre previsioni – chiarisce – la Fed sospenderà il ciclo di rialzi dei tassi nel meeting di giugno. A fronte della forza dei recenti dati economici, da un lato, e dei lunghi e variabili lag tre le decisioni di politica monetaria e i loro esiti, dall’altro, ci aspettiamo che adotti un approccio attendista”. 

Data l’inflazione persistente, i dati economici contrastanti e le tensioni sul mercato del lavoro, molti prevedono un ulteriore rialzo dei tassi nella riunione di luglio. Secondo l’esperto, si tratta di una possibilità concreta, ma Jerome Powell deve guadagnare tempo. “Le tensioni sulle banche regionali statunitensi si sono attenuate e le considerazioni di tipo macroeconomico hanno ricominciato a guidare la politica monetaria. È nell’interesse della Fed aspettare e vedere se i servizi seguiranno il rallentamento del settore manifatturiero, se il recente rimbalzo del settore immobiliare sarà confermato e, soprattutto, se il mercato del lavoro alla fine mostrerà segni di affaticamento. Ciononostante, i toni di mercoledì dovrebbero essere hawkish, per evitare che si pensi che il lavoro sia concluso quando l’inflazione sottostante non è ancora scesa al di sotto del 5%”, spiega.

Bis per la Bce

Sebbene il ciclo di inasprimento monetario in Europa sia iniziato quattro mesi dopo quello della Fed, senza grandi inconvenienti, Thozet sottolinea come stia però già iniziando a farsi sentire. “Gli indicatori principali (in particolare i Pmi manifatturieri) e il rallentamento della domanda di credito da parte di famiglie e imprese (il mese scorso la domanda netta di credito è scesa a 0) dimostrano che la stretta sta funzionando – argomenta -. Così come l’ampliamento del trend disinflazionistico: gli ultimi dati sull’indice dei prezzi al consumo devono essere stati un vero sollievo per Francoforte”. 

Eppure, a suo dire, giovedì la Bce dovrebbe aumentare i tassi di deposito di altri 25 punti base. “Il tasso di disinflazione ha sorpreso al ribasso, ma il livello di inflazione rimane elevato (6,3% in Germania e 5,1% in Francia per l’inflazione totale su base annua) – osserva -. Livelli che richiedono una vigilanza costante. Il 5% è una soglia particolarmente importante, associata a una maggiore omogeneità degli aumenti dei prezzi dei diversi beni e servizi e a un più stretto legame con i salari. La rigidità del mercato del lavoro europeo sta portando a una maggiore inerzia anche sul fronte dei salari, che crescono a un tasso del 5% su base annua. È quindi possibile che i salari reali (corretti per l’inflazione) si avvicinino a livelli positivi, sostenendo così i consumi. Questo potrebbe a sua volta far crescere l’inflazione core”.

Dunque, è probabile che anche la riunione di luglio veda un rialzo dei tassi di deposito di 25 bps da parte della Bce, forse per l’ultima volta, se la tendenza disinflazionistica sarà confermata. “A questo proposito, Christine Lagarde è riuscita (finora) a completare il proprio ciclo di stretta monetaria senza che si materializzassero crepe nel sistema, anche se un anno fa si diceva che l’Ue fosse l’area meno pronta ad affrontare un ciclo di inasprimento”, aggiunge.

Conseguenze per i mercati

Il ritmo a cui i tassi di policy vengono alzati sta rallentando o si sta arrestando, ma ciò secondo Thozet non significa che il ciclo di rialzi sia terminato. “Le banche centrali dipendono dai dati economici, quindi dobbiamo prepararci a diversi scenari – avverte -. In questo contesto, prediligiamo le obbligazioni core con scadenze lunghe e intermedie (tra i 5 e i 10 anni). Le scadenze più brevi dipendono troppo dalla volatilità dei dati economici (occupazione, salari, indicatori anticipatori). La conferma del rallentamento dell’economia e del ritmo della disinflazione spingerà i tassi d’interesse a livelli molto più bassi”. 

“Al contrario, se l’economia mostrasse segni di tenuta ancora maggiori, le banche centrali sarebbero indotte ad alzare ulteriormente i tassi, il che a sua volta peserebbe sui rendimenti obbligazionari di più lungo periodo, dato che un inasprimento più marcato aumenta la probabilità di una forte contrazione dell’economia”, conclude. 

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