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Bond high yield, un’ottima annata

Secondo Payden & Rygel il debito high yield è un’asset class che premia l’investitore paziente e quello attuale potrebbe essere un buon punto d’ingresso per il mercato. Ecco perché

Finora il 2023 si è rivelato “un’ottima annata” per i bond high yield, che hanno sovraperformato diversi segmenti del reddito fisso e, in base alle ultime rilevazioni di settembre, stanno crescendo del +5,9% su base annua. Lo sottolineano Jordan Lopez e Nick Burns, rispettivamente director e head of the high yield strategy group e high yield co-portfolio manager di Payden & Rygel, secondo cui analizzando da vicino i fattori che contribuiscono a questa sovraperformance, si nota che, anzitutto, nonostante l’elevata volatilità dei tassi, l’hy ha comunque generato rendimenti solidi grazie alla compressione degli spread e ai flussi di cedolari elevati. 

Per i due esperti, a questo risultato hanno poi decisamente contribuito tre fattori: il miglioramento dell’inflazione e gli scarsi segnali di recessione (con basse previsioni di default); i dati macro più forti del previsto, compresi quelli relativi a crescita e occupazione, e la resilienza degli utili societari; i solidi dati tecnici: l’offerta netta è stata negativa per i primi trimestri dell’anno, a -76 miliardi di dollari, in gran parte a causa dell’abbandono degli ‘astri nascenti’ dell’high yield, ossia titoli hy che possono diventare investment grade a causa del miglioramento della qualità del credito dell’emittente.

“Le nuove emissioni di bond hy sono superiori rispetto allo scorso anno, ma ancora ben lontane dai picchi del 2020 e del 2021 – fanno notare Lopez e Burns -. Gli emittenti high quality stanno posticipando il momento del rifinanziamento e il mercato delle nuove emissioni è per lo più precluso agli emittenti low-quality (meno dell’1% delle emissioni ha un rating CCC secondo JP Morgan)”.

In secondo luogo, a loro parere i fondamentali del credito si stanno indebolendo, ma rimangono solidi, così come i fondamentali del settore high yield, fatta eccezione per gli emittenti in difficoltà.

“Il rischio di default è basso per la maggior parte degli emittenti – argomentano -, per via della loro storica capacità di far fronte al pagamento di interessi e capitale: le società hanno bloccato le cedole a tasso fisso quando i rendimenti erano bassi e ora possono finanziare il loro debito facilmente. Anche la leva finanziaria rimane inferiore ai livelli medi storici e i team di gestione non hanno effettuato nuove operazioni di leverage sui bilanci, nonostante i tassi bassi e gli utili elevati”. Secondo Lopez e Burns, queste condizioni probabilmente persisteranno per i prossimi due anni. “Infine, solo il 12% del mercato presenta un debito in scadenza prima del 2026, il che offre alla maggior parte degli emittenti la possibilità di aspettare se i rendimenti rimangono elevati”, precisano.

“Oggi i rendimenti dei bond high yield sono nuovamente alti, nella fascia del 9% e, considerando che in passato  rendimenti iniziali elevati significavano ritorni annualizzati superiori alla media per i successivi cinque anni, rappresentato un indicatore affidabile dei rendimenti annualizzati per i 5 anni successivi, con una correlazione dello 0,93 (utilizzando l’indice Ice BofA BB-B US Cash Pay High Yield Constrained), il debito high yield è un’asset class che premia l’investitore paziente e quello attuale potrebbe essere un buon punto d’ingresso per il mercato”, concludono quindi Lopez e Burns.

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