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Brexit in salita: gli scenari possibili

Per Ubp, lo scenario di base prevede una contrazione del 12% nel 2020, seguita da una ripresa del 6% nel 2021, che sconta almeno alcuni accordi con l’Ue sullo scambio merci

Tempi duri per i sudditi di sua maestà, per i quali la strada della Brexit è tornata a farsi in salita proprio mentre sul fronte della ripresa post Covid il Paese sembra fare più fatica del resto d’Europa. Il Pil del Regno Unito ha infatti subito una contrazione del 2,2% t/t nel primo trimestre e del 20,4% t/t nel secondo: il ritardo delle decisioni sulle misure anti-covid e il lockdown hanno portato a un calo del Pil più marcato nel secondo trimestre rispetto ad altri Paesi sviluppati. 

“Con la fine del lockdown, la ripresa dell’attività e dei consumi ha ridato uno slancio positivo all’attività economica nel terzo trimestre ed è probabile che il Pil mostrerà un rimbalzo a due cifre (11-18% t/t)”, osserva Patrice Gautry, chief economist di Union Bancaire Privée, secondo cui dopo il rimbalzo del terzo trimestre, si prevede però che il ritmo della ripresa si affievolirà nel quarto a causa di diversi fattori: la fine delle misure di sostegno al lavoro, la tendenza al rialzo dei richiedenti, la fine del supporto specifico ai servizi e non da ultimo le incertezze crescenti sulla Brexit.

“Dal 2016 l’economia del Regno Unito ha sottoperformato rispetto a quelle degli altri Paesi Ocse. Le incertezze sulla Brexit hanno infatti pesato sulle performance dei consumi e degli investimenti. Al momento una ripresa dell’economia del 2021 è possibile, ma emergono diversi scenari”, evidenzia l’esperto. 

Il primo è quello di una Brexit con un accordo (libero scambio): il Regno Unito potrebbe seguire un ritmo di ripresa simile a quello dei Paesi Ocse, con una rinnovata flessibilità sul commercio. 

In caso di no deal, ci sarebbero invece dei rischi al ribasso che peserebbero sul quarto e primo trimestre, con nuovi rischi di recessione per il 2021.

“Il nostro scenario di base prevede una contrazione del 12% nel 2020, seguita da una ripresa del 6% nel 2021, che sconta almeno alcuni accordi con l’Ue sullo scambio delle merci”, spiega Gautry.

“Nel medio termine, riteniamo che una rinnovata flessibilità nella politica, nella valuta e nel mercato del lavoro, oltre agli accordi commerciali globali, sia necessaria per potersi confrontare con le extra performance ottenute dagli altri Paesi Ocse. Inoltre, ritardi sugli accordi commerciali, o un no deal, potrebbero incidere sul raggiungimento di accordi commerciali con Paesi extra-Ue; un margine più ridotto di manovra politica e investimenti esteri limitati potrebbero poi ridurre il potenziale di crescita: l’attrattiva del Regno Unito e i fondamentali sono a rischio”, avverte.

Il periodo di transizione per l’uscita del Regno Unito dall’Ue terminerà a dicembre e non è prevista un ulteriore proroga. Londra dare priorità al libero scambio e alle proprie leggi interne, definendo in un secondo momento i dettagli ulteriori sui settori; per l’Unione Europea invece, Michel Barnier preferirebbe negoziare le questioni più controverse legate al commercio prima di accordarsi su quelle più ‘semplici’. “Ci sono quindi delle posizioni nette su questioni chiave e nessuna volontà di raggiungere un compromesso su temi come le disposizioni sulla parità di condizioni, sulla governance e gli aiuti di stato, sulla pesca a cui si aggiungono le nuove controversie sui confini irlandesi”, evidenzia l’esperto.

Quali prospettive quindi per l’accordo commerciale? Gautry ipotizza quattro punti:

– Una hard Brexit parzialmente gestita con l’Ue.

– Un accordo su alcune misure provvisorie in alcune aree per evitare una Brexit disordinata entro la fine dell’anno.

– L’applicazione di regole meno restrittive rispetto a quelle dell’Omc con accordi per alcuni settori

– Negoziati complessi con gli Stati Uniti, e accordi più semplici con Canada, Australia e Nuova Zelanda; limitata attrattiva per gli altri membri del Commonwealth, sull’accordo firmato con il Giappone.

“Al momento il Regno Unito è soggetto a disinflazione, ma la fine delle agevolazioni fiscali e l’aumento dei costi di trasporto e di dazi potenzialmente più elevati, potrebbero portare ad un rialzo dell’inflazione l’anno prossimo – sostiene -. Per ora la posizione della BoE è dovish, con tassi di interesse bassi e il Qe che dovrebbero restare in vigore. Se necessario, la BoE sarà tuttavia pronta ad adeguare il Qe e ad adottare tassi d’interesse negativi. Altri strumenti potrebbero però essere utilizzati prima: il Term Funding Scheme, uno strumento di finanziamento alle imprese, per modificare la composizione del Qe in favore di asset più rischiosi. Le banche centrali sono infatti più caute ora nell’adozione di tassi di interesse negativi, mentre il Qe potrebbe essere ulteriormente esteso a fine anno (per altri potenziali 60-100 miliardi di sterline)”.

Infine, per quanto riguarda il consolidamento fiscale, secondo Gautry dovrebbe essere rinviato al momento in cui la crescita sarà più solida, mentre le incertezze legate al Covid-19 e alla Brexit dovrebbero portare a un’ulteriore espansione della spesa pubblica.

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