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Credito, i settori per resistere all’inflazione

Per Lgim, banche, tlc e servizi pubblici sono tra i settori che non dovrebbero risentire eccessivamente dell’impennata dei prezzi

“Il tasso di rischio dei crediti in euro è contenuto grazie alla duration di poco superiore ai 5 anni e al carry positivo rispetto ai titoli tedeschi. Se a questi elementi si aggiungono i rendimenti positivi e il roll-down, si ottiene che c’è ancora un po’ di tempo prima che i rendimenti assoluti entrino in territorio negativo”. È la tesi di Marc Rovers, head of euro credit di Lgim, secondo cui la prova sta  nel fatto che il credito investment grade di Stati Uniti e Regno Unito nel primo trimestre di quest’anno ha registrato performance negative del -4,7%, mentre quelle dell’indice corporate Ig in euro si sono fermate a -0,7%, a causa di a una maggiore volatilità e duration (circa 8,5 anni) dei prim.

“Noi di Lgim cerchiamo di proteggere il capitale dei nostri clienti, gestendo attivamente la duration dei portafogli; nello specifico, cerchiamo di ottenere una duration limitata, senza però doverci trovare a gestire una posizione troppo sbilanciata. Infatti, noi siamo investitori core credit e non vogliamo che i tassi d’interesse siano preponderanti sui rendimenti”, spiega Rovers.

Sul dibattito attuale se la crescita dell’inflazione sia temporanea o transitoria, per l’esperto fare una previsione precisa su come e quando si raggiungerà il picco è un’impresa troppo ardua, a maggior ragione in uno scenario come quello attuale, inedito sia dal punto di vista monetario che fiscale. “La recente ondata di liquidità ha praticamente cancellato ogni traccia di volatilità e solo il tempo ci dirà fino a che punto l’intervento della banca centrale ha celato lo status reale dei fondamentali economici – osserva -. I nostri processi di investimento tengono ovviamente conto di questi fattori, ma, allo stesso tempo, tendono ad evitare quelle posizioni che vi fanno un affidamento eccessivo; pertanto, i capisaldi dello sviluppo del nostro portafoglio continueranno a essere un’accurata analisi del credito e le nostre idee sugli investimenti tematici”.

Quanto al portafoglio, Rovers ha quindi deciso di non inserire elementi specifici a tutela contro l’inflazione, poiché ritiene che siano troppo costosi e che tendano a fagocitare buona parte dei rendimenti, se mantenuti troppo a lungo. “Preferiamo rivolgerci verso settori ed emittenti che non ne siano eccessivamente colpiti o che possano anche trarre vantaggio da un rialzo dell’inflazione – precisa -. Un esempio sono le banche, che traggono beneficio dai tassi d’interesse più elevati, ma anche i retailer sono ben posizionati per poter conseguire un guadagno da questo scenario. Altri esempi di settori difensivi sono le telecomunicazioni e i servizi pubblici, poiché possono trasferire parte degli effetti dell’inflazione sui clienti. Invece, dal lato opposto troviamo le imprese indebitate operanti nel real estate e i flussi di reddito meno garantiti, che potrebbero essere maggiormente colpiti. Per questo, in questi ultimi due settori siamo molto selettivi, nonostante l’elevato compenso per gli investitori dovuto agli spread”.

Secondo Rovers, attualmente gli investitori si ritrovano in una situazione in cui non esistono asset a basso costo e anche la liquidità viaggia su rendimenti negativi, proprio come molti titoli di Stato emessi da paesi europei, e questo vale in ogni scenario, escluso quello in cui i tassi d’interesse si risollevino dai livelli attuali. “In questo scenario, il credito Ig europeo è comunque una valida opportunità per gli investitori. Si sente spesso dire che l’alta marea faccia navigare tutte le imbarcazioni e non c’è dubbio che un’inflazione costantemente superiore al target che incrementi i rendimenti delle obbligazioni e forzi la mano delle banche centrali possa avere impatti negativi sui rendimenti del credito investment grade europeo, ma se la storia ci insegna qualcosa è che questi ultimi rendimenti dovrebbero essere molto meno volatili rispetto a quelli di altri asset ad alto beta, come le azioni, o dei titoli di Stato a più lunga scadenza spesso supposti sicuri”, conclude.

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