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Dietro il crollo del Bitcoin

Dopo il tonfo recente del Bitcoin ci si interroga sul futuro della criptovaluta. E la lotta tra oppositori e sostenitori si infiamma

Ma siamo davvero sicuri che dietro il tracollo del Bitcoin (dai massimi di metà aprile sta perdendo il 41%, anche se a un anno la performance è positiva del 322%) ci sia l’influenza del patron di Tesla, Elon Musk, o l’ostracismo della Banca popolare cinese? O forse il sell-off è da attribuire semplicemente a un eccesso di domanda, per utilizzare un termine tecnico? Di fatto, dai 9mila dollari di un anno fa il Bitcoin è arrivato a toccare un massimo a 65mila dollari circa, mettendo a segno un rialzo del 622% che inviterebbe chiunque a prendere profitto. Musk compreso, che lo scorso febbraio aveva comprato 1,5 miliardi di Bitcoin, quando valeva circa 38 mila dollari.

D’altro canto il titolo Tesla ha fatto lo stesso: dagli 87 dollari di fine 2019 è arrivato a toccare un massimo a 880 dollari esattamente un anno dopo (le quotazioni tengono conto dello split avvenuto a settembre 2020), con un rialzo del 911 per cento. Da allora è iniziata una fase di contrazione che ha portato il titolo a perdere il 31% fino a 606 dollari. E anche se oggi le valutazioni appaiano poco sostenibili (Tesla ha un p/e di 611,13), gli analisti conservano un moderato ottimismo.

Certo, dietro a un investimento azionario si “celano” ragioni di carattere fondamentale. Semplificando, si analizza il bilancio, si guarda alle prospettiva di crescita degli utili e si valuta la convenienza a comprare un titolo oppure no. Ma spesso si nascondono anche ragioni puramente tecniche, legate all’euforia del momento e alla legge della domanda e dell’offerta. I fondamentali non contano più, si segue un trend e lo si porta avanti finché dura.

E da questo punto di vista il Bitcoin si sta imponendo sempre più sui mercati come una vera e propria asset class, sebbene non sia ancora a tutti gli effetti uno “strumento” regolamentato (e forse la vera anomalia è proprio questa). E non è un caso che nell’ultimo anno si siano diffusi diversi prodotti quotati su “piazze” regolamentate con sottostante Bitcoin (ma anche altre criptovalute). Inoltre, anche l’attenzione di diverse banche d’affari verso il mondo crypto sta crescendo, come nel caso di Goldman Sachs, di Morgan Stanely, o ancora di Jp Morgan.

Insomma, i recenti movimenti di mercato del Bitcoin potrebbero essere semplicemente il frutto di un’evoluzione della criptovaluta stessa, ormai riconosciuta come asset da inserire in portafoglio in chiave tattica. E intanto, lo scontro tra oppositori e sostenitori si infiamma…

Gli oppositori

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a diversi capovolgimenti di fronte verso la più blasonata delle criptovalute, in positivo e in negativo. È il caso della Banca popolare cinese, che ha messo in guardia gli investitori dal trading speculativo sul Bitcoin vietando agli istituti finanziari e alle società di pagamento di fornire servizi relativi alle transazioni di criptovaluta. O ancora di Hsbc che, data la volatilità estrema della moneta digitale ideata da Satoshi Nakamoto (pseudonimo dietro cui si nasconde un gruppo di informatici), ha fatto sapere che non offrirà la criptovaluta ai propri clienti.

E poi c’è Musk, che prima acquista 1,5 miliardi di dollari in Bitcoin, annunciando in contemporanea la volontà di accettare la criptovalute come moneta di scambio per l’acquisto di una tra la Tesla Model S, X, 3 e Y, e poi fa dietrofront.

Ma Musk ha fatto retromarcia solo sulla possibilità di acquistare una Tesla in Bitcoin. Una scelta, tra l’altro, anche comprensibile, e non perché la produzione di Bitcoin non sia sostenibile. Anzi, a sostenere il contrario c’è da un lato il ministro norvegese delle politiche ambientali, Sveinung Rotevan, che in una recente intervista su YouTube ha ribadito che la maggior parte dell’energia consumata dal mining proviene da fonti rinnovabili, e dall’altro uno studio condotto da Galaxy Digital, secondo cui il Bitcoin consuma annualmente 113 terawattora, contro i 263 Twh del sistema bancario e i 240 Twh dell’industria dell’oro.

La scelta di Musk è comprensibile perché oggi si guarda al Bitcoin più come uno strumento di investimento, per quanto volatile e quindi rischioso, piuttosto che come un metodo di pagamento. D’altronde, secondo i dati di Chainanalysis, solo l’1,3% delle transazioni in Bitcoin sono riconducibili a scambi commerciali.

Intanto, il patron di Tesla continua a detenere Bitcoin in portafoglio, senza aver subìto nessuna grande perdita, a dispetto del crollo delle ultime settimane. Musk ha infatti annunciato l’acquisto di 1,5 miliardi di Bitcoin a inizio febbraio, quando la criptovaluta viaggiava tra i 35mila e i 38mila dollari, che è esattamente la quotazione attuale. Invece, avendo venduto il 10% dei Bitcoin in portafoglio a fine aprile, quando la crypto quotava 56mila dollari, ha già realizzato una plusvalenza (al netto della successiva discesa) di 73 milioni di dollari.

I sostenitori

Nonostante la recente volatilità mostrata dal Bitcoin, c’è anche chi continua a credere nella criptovaluta. Come Goldman Sachs, che inizierà a offrire a propri clienti l’accesso a prodotti finanziari derivati tramite un crypto trading desk, servizio attualmente rivolti ad una ristretta cerchia di clienti. E poi c’è anche JP Morgan, che ha vinto la diffidenza iniziale (nel 2017 aveva dichiarato di ritenere il Bitcoin una truffa) e ora sta accelerando per un fondo a gestione attiva proprio su Bitcoin. Inoltre, tra le banche d’affari che strizzano l’occhio al mondo crypto c’è anche Morgan Stanley, che ha in offerta prodotti sempre a gestione attiva sul Bitcoin disponibili per ora solo per i clienti con grandi patrimoni.

Entrando più nel dettaglio della scelta di Goldman Sachs, a spiegare le motivazioni è stato il capo della divisione degli asset digitali, Mathew McDermott, che ha parlato di un forte interesse da parte dei clienti, come riportato dall’Agi: “i clienti sono sempre più attratti dal valore più generale che possono portare le criptovalute – ha detto McDermott – Stanno guardando all’Ethereum e come possa davvero portare a cambiamenti nei mercati finanziari”.

L’interesse per Ether (è la criptovaluta del sistema Ethereum) è presto spiegato: a differenza del Bitcoin, si muove su una blockchain che non solo consente il passaggio tra portafogli di moneta digitale, ma anche di contratti e prodotti digitali. Se la storica accusa al Bitcoin è quella di non avere un sottostante che ne determini e giustifichi il valore, e quindi di non poter essere considerato un asset class, Ether con la sua blockchain ha un’infrastruttura che comincia a delinearsi come un investimento interessante. E quindi a dare nuova dignità agli occhi degli investitori un po’ a tutto il settore.

McDermott spiega quindi che gli investitori e le società di gestione del risparmio “vogliono diversificare il proprio patrimonio investimenti”. E le cripto sono viste come una possibilità. Meglio se con una prospettiva di cambiamento reale del mondo della finanza.

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