Investi

Emergenti, l’effetto domino della guerra Russia-Ucraina

Dalle aziende all’inflazione, dai Paesi esportatori fino alla decarbonizzazione, Janus Henderson esamina gli effetti del conflitto sui mercati emergenti

L’invasione russa dell’Ucraina ha avuto implicazioni significative per la Russia sotto forma di sanzioni esplicite, ma anche nella restrizione dell’accesso ai mercati dei capitali. Un esempio è la rimozione dei titoli russi dagli indici obbligazionari e azionari. La ponderazione della Russia nel Corporate Emerging Markets Bond Index e nell’Emerging Markets Bond Index era già piccola prima delle tensioni, al 3-4%, ed è scesa all’1-2% con l’inizio delle tensioni, e ora sarà esclusa del tutto a fine marzo. Questo, secondo i portfolio manager di Janus Henderson, Daniel Grana, Matt Culley e Hervé Biancotto, comporterà la riponderazione al rialzo di altri Paesi all’interno degli indici, eliminando anche una certa volatilità dei prezzi derivante dalle obbligazioni russe. “Mentre la Russia non è investibile da un punto di vista ambientale, sociale e di governance, a nostro avviso, tale rimozione dagli indici potrebbe limitare il più ampio contagio al resto degli emergenti nel corso del tempo”, affermano.

Sanzioni sulle aziende

Mentre alcune aziende russe sono state sanzionate direttamente, molte hanno evitato le sanzioni essendosi espresse contro il conflitto. “Tuttavia – precisano i tre esperti -, la visibilità di dove potrebbero colpire le sanzioni è bassa, a causa della natura frammentata e globale delle aziende. Tale visibilità può richiedere tempo per essere svelata dalle autorità governative e spesso appare imprevedibile. La natura statale di molte aziende dei mercati emergenti esacerba questo rischio”. 

Poiché molte delle più grandi aziende in Russia sono produttori di energia o di materie prime, è difficile immaginare una sostituzione ordinata di queste fonti di produzione, secondo Grana, Culley e Biancotto. “Insieme alle sanzioni esistenti sulla fornitura di energia della Russia ad altre nazioni, una forte inflazione dei prezzi delle materie prime può avere implicazioni al di là delle aziende che le sanzioni toccano direttamente. La fungibilità delle materie prime comporta anche la mancanza di trasparenza circa le catene di approvvigionamento globale. Quindi, è probabile che le aziende stiano attente a come scambiano beni e materiali che non hanno un’etichetta che dica da dove provengono”, spiegano.

L’effetto domino

Mentre la Russia è stata allontanata dai mercati internazionali, il suo ruolo nella fornitura di metalli, minerali, materie prime agricole ed energia non può essere eliminato in modo altrettanto netto. Per molte economie emergenti, l’inflazione causa un effetto domino che ha un impatto sui redditi reali dei consumatori attraverso i margini aziendali nella produzione industriale e sugli sforzi di decarbonizzazione. “Un esempio di una catena di approvvigionamento colpita è il gas naturale e i minerali usati per produrre fertilizzanti artificiali, dove carenze o aumenti di prezzo potrebbero colpire la qualità delle colture coltivate per nutrire una popolazione – affermano i tre portfolio manager -. Sia la Russia che l’Ucraina hanno vietato alcune esportazioni di fertilizzanti, presumibilmente per proteggere il fabbisogno interno. La Russia è tra i primi due esportatori mondiali di tutti e tre i tipi di fertilizzanti (azoto, potassio e zolfo). I fertilizzanti rappresentano circa il 2% delle entrate delle esportazioni russe (compresa la Bielorussia), ma il 29% del commercio totale mondiale”.

Ciò fa lievitare il costo delle importazioni per le economie emergenti, dato che la dipendenza dalle importazioni di grano e fertilizzanti, per esempio, è più alta nelle economie dei mercati emergenti. “Gli alimenti e l’energia sono più alti nel paniere dell’indice dei prezzi al consumo per i Paesi emergenti, un dato ancora più sbilanciato in questa direzione per le classi più povere – evidenziano -. Nelle economie ad alto reddito, gli alimenti rappresentano generalmente meno del 15% degli indici dei prezzi, mentre nelle economie emergenti essi possono superare il 30% della spesa delle famiglie. Un’inflazione così alta è destinata a erodere il potere d’acquisto del consumatore nei mercati emergenti e le aziende avranno una capacità limitata di trasferire questi grandi picchi di prezzo. Questo si è già riflesso in una certa debolezza nella performance delle aziende produttrici di beni di prima necessità. Dal nostro punto di vista, ciò potrebbe risultare in un colpo significativo agli utili per queste aziende”.

Paesi o materie prime alternativi?

Secondo Grana, Culley e Biancotto, gli esportatori netti di materie prime possono trarre vantaggio dai prezzi alle stelle e usare le loro dotazioni per soddisfare i bisogni globali. Per esempio, la Russia produce il 43% del palladio mondiale, mentre il secondo più grande fornitore di questo metallo è il Sudafrica. La Russia è anche il terzo maggior produttore di nichel, mentre l’Indonesia occupa il primo posto. I principali Paesi produttori possono farsi avanti per compensare la carenza di offerta, con quest’ultima che potrebbe incoraggiare la sostituzione. Per esempio, la sostituzione del palladio con il platino nelle automobili, che alcuni produttori di automobili hanno già iniziato a sperimentare.

“Inoltre – aggiungono -, l’innovazione è incoraggiata dalla necessità. Paesi come la Cina, gli Stati Uniti e l’India stanno ad esempio sperimentando una tecnologia alternativa per le batterie che non utilizza il litio, anche se riteniamo che le batterie agli ioni di litio rimarranno dominanti. In breve, la scarsità dell’offerta incoraggia le aziende dei mercati emergenti a innovare per prosperare e a sfruttare le risorse accessibili”.

Ostacoli verso un futuro a basse emissioni di carbonio

Il picco dei prezzi delle materie prime ha complicato il percorso verso la riduzione delle emissioni, ambito in cui Cina, Corea e India, tra gli altri, hanno fissato obiettivi di zero netto. Dati gli alti prezzi del petrolio e del gas naturale, i Paesi sono spinti a esplorare vie alternative per soddisfare i loro bisogni energetici. Alcuni Paesi emergenti in Europa hanno accantonato i piani di eliminazione graduale del carbone, poiché questa fonte ha già una significativa infrastruttura esistente che può essere sfruttata per soddisfare i bisogni a breve termine.

“Anche se non può cambiare l’obiettivo di neutralità climatica a cui mirano i paesi emergenti, il percorso per raggiungere tale target potrebbe subire modifiche – osservano i tre esperti -. A essere premiata, infatti, potrebbe essere la crescita economica a breve termine. Chiaramente le catene di approvvigionamento e i percorsi di decarbonizzazione vengono rimodellati dall’effetto domino del conflitto. Queste sono le forze della de-globalizzazione in azione, mentre le economie si affidano maggiormente a se stesse per soddisfare i propri bisogni. È con una visione dall’alto verso il basso degli eventi e dell’impatto sulle aziende sul terreno che possiamo trovare i chiari e meno ovvi potenziali vincitori e perdenti dalla caduta delle tessere del domino del conflitto Russia-Ucraina”.

Commenta

Articoli correlati

Giappone, nel 2024 emergeranno molte opportunità 

Enzo Facchi

Da Axa Im tre Etf sugli Stati Uniti

Enzo Facchi

Cina, è ora di tornare a puntare sul Dragone

Enzo Facchi
UA-69141584-2