L’e-commerce genera da solo il 21% dei gas serra emessi in Europa. Insieme alla produzione di elettricità, è il settore che dovrà decarbonizzarsi più velocemente. L’analisi di Candriam
Da tempo si prevedeva che l’e-commerce sarebbe cresciuto sempre più velocemente nei prossimi anni, la crisi Covid ha semplicemente accelerato il processo. Ma come si può valutare equamente il costo ambientale del boom dell’e-commerce? Oggi che sempre più società e settori commerciali pretendono trasparenza sul loro impatto ambientale e cercano di lavorare per mitigarlo, un’analisi della questione dal punto di vista specifico del suo impatto sul cambiamento climatico è quantomai attuale.
Come sottolinea David Czupryna, head of Esg development di Candriam, la transizione verso nuove modalità di esperienze sociali (lavoro a distanza, distanziamento sociale, ecc.), come si è visto in particolare nel 2020, non è senza effetti dal punto di vista ambientale, soprattutto per il legame tra il comportamento dei consumatori e i diversi mezzi di trasporto utilizzati. “Infatti – chiarisce -, l’e-commerce genera da solo il 21% dei gas a effetto serra emessi in Europa. Insieme alla produzione di elettricità, è il settore che dovrà decarbonizzarsi più velocemente se l’Unione Europea vuole ridurre, entro il 2030, le sue emissioni di gas serra del 44% rispetto ai livelli attuali. Di questo 21%, quasi tre quarti sono generati dal trasporto su strada, principalmente dalle auto private e dai piccoli furgoni ampiamente diffusi per effettuare le consegne dei prodotti acquistati online”.
A prima vista, i benefici (per il clima) di un’espansione del commercio elettronico sembrerebbero ovvi. Da un lato, dozzine di viaggi verso i centri commerciali in veicoli privati con motori a combustione interna, contro dall’altro un unico giro di consegne. Tuttavia, al di là delle conseguenze sociali di un tale cambiamento nel comportamento dei consumatori, secondo l’esperto l’impatto del commercio elettronico sulle emissioni di gas serra dipenderà molto dal metodo di acquisto che andrà a sostituire, così come il suo impatto sul comportamento dei consumatori in generale.
“Va detto infatti che anche se i veicoli privati emettono CO2, lo stesso vale certamente per i veicoli che effettuano le consegne – evidenzia Czupryna -. Anzi, di fatto, a causa del loro peso e delle maggiori dimensioni, questi ultimi emettono molta più CO2 delle auto private. E non dimentichiamo che i consumatori non sempre si recano in auto a fare shopping. Gli abitanti delle città beneficiano delle distanze più brevi e dei servizi di trasporto pubblico che emettono poca CO2. In realtà, solo un passaggio massiccio a veicoli 100% elettrici permetterebbe all’e-commerce nelle aree urbane di generare emissioni di gas serra inferiori a quelle che si avrebbero se i consumatori prendessero i trasporti pubblici, andassero in bicicletta o addirittura a piedi per fare i loro acquisti. Inoltre, la transizione, in Europa, verso veicoli privati al 100% elettrici entro il 2030 ridurrà il guadagno marginale in termini di emissioni di gas serra che finora ha caratterizzato il commercio elettronico, riducendo ulteriormente, da questo punto di vista, i benefici dell’e-commerce sotto il profilo dell’impatto climatico”.
Secondo l’esperto, bisogna poi considerare un altro aspetto. La velocità di un semplice clic, la disponibilità di migliaia di prodotti su un sito web e la possibilità di acquistare una vasta gamma di articoli in un’unica transazione sono tutti fattori che contribuiscono al successo del commercio elettronico, ma che potrebbero anche spiegare il suo impatto sui volumi di merci consumate. Non sono, ovviamente, gli unici fattori. Nel settore della moda, per esempio, il rinnovo quasi costante delle collezioni, combinato con prezzi estremamente bassi, contribuisce alla crescita dei volumi di vendita.
“Un aspetto più sottile della quantità di beni acquistati attraverso l’e-commerce è quello dei beni acquistati con l’intenzione, se necessario, di restituirne alcuni, o perché non ci piacciono o perché sono inadatti – prosegue -. Anche qui, l’industria dell’abbigliamento viene subito in mente. Ricerche su questo settore mostrano che il livello dei resi ha un impatto significativo sulle emissioni di gas serra generate dall’e-commerce. Tali resi aumentano le emissioni complessive di gas serra legate al commercio elettronico e il loro impatto ambientale, tanto più se, come già accade, i resi vengono rispediti in Asia per essere re-imballati. Va notato che l’accettazione sistematica dei resi sta diventando uno standard per il commercio al dettaglio, costretto ad allinearsi alle pratiche dell’e-commerce per rimanere competitivo”.
Insomma, come per molte innovazioni guidate dal cambiamento tecnologico, lo sviluppo del commercio elettronico non comporta automaticamente un miglioramento in termini di impatto ambientale delle nostre attività. “Questo impatto dipende prima di tutto dall’uso che facciamo di queste nuove possibilità. Se il commercio elettronico diventa un pretesto per un consumo eccessivo di merci non sostenibili, di cui una gran parte viene restituita al venditore, il suo impatto sul cambiamento climatico rischia di aumentare e di impedire il raggiungimento di obiettivi di neutralità carbonica”, avverte Czupryna.
“La nostra analisi delle aziende del settore, e il dialogo sugli aspetti Esg che conduciamo con loro, mirano quindi a incoraggiare una rapida transizione verso flotte di veicoli 100% elettrici, alimentati interamente, proprio come le loro infrastrutture informatiche, da fonti rinnovabili al 100%. Queste due misure non impediranno altri impatti negativi, tra cui la generazione di rifiuti e il consumo di altre risorse naturali. Tuttavia, forniscono una risposta credibile all’emergenza climatica per un settore con un impatto sempre maggiore sul clima”, conclude Czupryna.