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Frenata in vista per il dollaro

Per Carmignac, diversi fattori sono alla base dell’attuale flessione, che potrebbe proseguire e porre fine a diversi anni di apprezzamento 

Dopo aver registrato un ciclo di apprezzamento pluriennale, il dollaro si trova a dover affrontare un numero crescente di fattori che potrebbero spingerlo oltre il punto critico. Secondo Kevin Thozet, membro del Comitato investimenti di Carmignac, infatti, l’attuale flessione del biglietto verde potrebbe proseguire e porre fine a diversi anni di apprezzamento. Per questo è molto importante per gli investitori analizzare con attenzione i movimenti di mercato delle ultime otto settimane.

Innanzitutto, l’esperto fa notare che i Paesi a livello globale non stanno uscendo dalla crisi sanitaria tutti con le stesse dinamiche di crescita: un contesto di desincronizzazione della crescita globale riconducibile alle forti disparità nelle modalità con cui i Paesi hanno gestito la pandemia e all’eterogeneità delle misure adottate per rispondere alle ripercussioni economiche della crisi.

“Negli Stati Uniti – sottolinea -, i vari piani di sostegno e le campagne vaccinali hanno consentito una forte ripresa dell’economia. Diversi dati economici e le pubblicazioni dei risultati delle imprese ad oggi sembrano confermare questa tendenza. Inoltre, i 6.000 miliardi di dollari che il governo statunitense prevede di spendere nel 2022 lasciano presagire che l’economia statunitense continuerà a migliorare anche dopo l’anno del rimbalzo”.

Per Thozet, un tale fenomeno di forte crescita economica, in termini assoluti e rispetto al resto del mondo, dovrebbe essere accompagnato da una performance sostenuta della valuta statunitense; tuttavia, il dollaro ha ampiamente azzerato l’apprezzamento registrato nel primo trimestre. Questo apparente paradosso non dovrebbe sorprendere.

“Innanzitutto – spiega -, il volume di spesa pubblica per sostenere l’economia statunitense e il conseguente indebitamento raggiungeranno livelli record. Questo è un primo aspetto penalizzante per il dollaro. Un altro è quello del finanziamento di una parte del budget statunitense attraverso aumenti delle tasse e delle imposte. Ciò potrebbe mettere a dura prova l’attrattiva dei titoli azionari statunitensi, e quindi del dollaro. Inoltre, le misure di sostegno adottate negli Stati Uniti sostengono i consumi, e quindi l’inflazione, mentre i piani di stimolo in Cina e in Europa sostengono maggiormente la produzione”.

Ma bisogna tenere a mente che ci sono altri fattori che potrebbero ridurre la domanda del dollaro nel medio termine. “L’attuale eterogeneità dell’economia globale fa sì che le Banche Centrali, le cui decisioni puntano a regolare l’attività economica e l’aumento dei prezzi influenzando il livello dei tassi d’interesse, conducano politiche diverse – osserva l’esperto -. Inoltre, a differenza di alcuni loro pari, le autorità monetarie statunitensi appaiono pazienti, persino attendiste, poiché ritengono che l’aumento dei prezzi sia solo transitorio e che non sia quindi necessario aumentare i tassi d’interesse a breve termine”.

Questa nuova modalità di reazione della Federal Reserve, che consiste nel lasciare correre l’inflazione prima di intervenire, secondo Thozet ha anche un ulteriore impatto sul dollaro statunitense. Bisogna infatti tenere presente che l’inflazione erode il valore temporale di una valuta: con l’aumento dei prezzi, un dollaro non consente di acquistare domani gli stessi beni e servizi acquistati oggi. “L’atteggiamento della Fed solleva inoltre interrogativi riguardo alla sacrosanta indipendenza della Banca Centrale nei confronti del governo – aggiunge -, dal momento che la Fed finanzierà una parte del budget record statunitense acquistando circa un quarto del debito emesso quest’anno. Questi dubbi sono alimentati anche dalla nomina al governo di Janet Yellen, ex presidente della Federal Reserve.

A questi diversi aspetti si aggiunge poi una peculiarità del mercato dei cambi: le strategie di investimento sono combinate. Tuttavia, come fa notare l’esperto, nonostante la fortissima ripresa economica negli Stati Uniti, alcune aree geografiche attraggono maggiormente gli investitori. “L’Europa – chiarisce – ha migliorato la propria attrattività grazie al rafforzamento della cooperazione politica ed offre inoltre opportunità di investimento in un cluster di aziende particolarmente esposte alla ripresa nei settori dei consumi, del turismo, della finanza e delle materie prime. Le società europee potrebbero continuare a beneficiare di dinamiche di crescita relativamente più favorevoli, dato che la ripresa economica nel vecchio continente è appena iniziata”.

Da parte sua, l’Asia è la punta di diamante della quarta rivoluzione industriale. Inoltre il livello più elevato di alcuni tassi d’interesse in quest’area attrae gli investitori, favorendo le valute locali come lo yuan cinese. Infine, per Thozet non si può escludere una ripresa delle valute dei Paesi esportatori di materie prime, sostenuta da fondamentali solidi e da una gestione economica rigorosa, mentre i prezzi dei prodotti di base, così utili alla ripresa dell’attività economica, sono tornati ai livelli di cinque anni fa. “In Carmignac, ci stiamo quindi esponendo, in modo selettivo, a queste valute”, afferma.

“In termini di investimenti, la struttura del portafoglio resta equilibrata tra convinzioni a lungo e breve termine – conclude quindi l’esperto -. La desincronizzazione della crescita economica globale presenta il vantaggio di consentire la diversificazione. Questi driver di performance a vantaggio dei nostri fondi sono integrati da strategie di copertura per salvaguardare i portafogli contro i rischi legati all’aumento dei tassi d’interesse e al cambio. Contrariamente a quanto si potrebbe intuitivamente pensare, il calo del dollaro non è in contrasto con il rischio di rialzo dei tassi, e questo è ormai evidente da diversi mesi. Questo contesto è quindi favorevole a una gestione attiva del risparmio”.

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