La demografia sta cambiando, è un comodo trampolino di lancio per investire in Cina ed è scarsamente studiato. L’analisi Comgest
L’Abenomics, la politica di riforma economica giapponese che prende il nome dell’ex primo ministro Shinzo Abe, si basa su tre pilastri: allentamento monetario da parte della Banca del Giappone, stimolo fiscale attraverso la spesa pubblica e riforme strutturali. Questa forma di neoliberismo non ha portato a una crescita economica su larga scala secondo l’attuale premier Fumio Kishida, stando al quale “la chiave per una nuova forma di capitalismo è aumentare i redditi nel modo più ampio possibile”. Per questo Kishida è intenzionato a liberare il Paese dall’Abenomics.
Nonostante tutti questi problemi, secondo Gabriella Berglund, italian branch manager di Comgest, il Giappone rimane un Paese attraente in cui investire. “L’affermazione secondo la quale esistono forti disuguaglianze in Giappone è palesemente poco corretta – spiega -: il paese ha il terzo punteggio più alto al mondo sull’indice Gini, una misura statistica della disparità di reddito. È tra le società più egualitarie del mondo”.
All’inizio di quest’anno, Kishida ha annunciato l’intenzione di aumentare l’aliquota dell’imposta sulle plusvalenze, che ora è del 20%. Subito dopo quella dichiarazione, il mercato azionario è crollato e Kishida ha fatto marcia indietro. “Anche l’Abenomics non sarà spazzata via, l’agenda delle riforme non cambierà rapidamente”, assicura la Berglund, che sottolinea come non si può affermare che una sola persona determini ciò che accade in Giappone.
“Le aziende giapponesi hanno enormi eccedenze di liquidità – afferma -. Il 50% delle aziende dell’indice Nikkei ha una posizione finanziaria netta. Queste realtà hanno sempre avuto più soldi in banca che debiti. Come azionisti, ovviamente ci piace questo sviluppo, perché questo surplus di denaro deve essere messo al lavoro o restituito agli azionisti. In ogni caso, un investitore sarebbe astuto nell’avvicinarsi a questo mercato con un approccio bottom up. I fattori macroeconomici hanno poca influenza sulla selezione dei titoli nei nostri portafogli concentrati, che tipicamente contengono da 30 a 40 titoli”.
Giappone, tre promettenti sviluppi
Per la Berglund, tre opportunità fondamentali si presentano in Giappone: la demografia sta cambiando rapidamente, il Paese è un comodo trampolino di lancio per investire in Cina ed è “scarsamente studiato”. “Il Giappone ha una popolazione che invecchia, soprattutto nelle zone rurali. Inoltre, una grande parte della forza lavoro è rimasta inutilizzata per decenni: le donne – argomenta -. Anche questa situazione sta cambiando rapidamente. Ci sono aziende molto interessanti che rispondono a questi nuovi risvolti demografici. Per esempio, investiamo in Nihon M&A, una boutique di corporate finance quotata in borsa con una fitta rete di commercialisti. Le piccole imprese familiari nel Giappone rurale che stanno affrontando la fuga dei giovani vengono integrate in un’entità più grande. Questo aiuta a indirizzare i problemi di successione di queste aziende nella giusta direzione e garantisce il loro futuro”.
Per l’esperta, il Giappone è anche all’avanguardia in termini di efficienza e robotizzazione, che è la seconda soluzione alla mancanza di manodopera. “Oriental Land Company, la società che gestisce Disneyland Tokyo, è un altro esempio di azienda che sta rispondendo a questi cambiamenti – fa notare -. Più tempo libero per i giapponesi significa più guadagni. Inoltre vediamo il Giappone come un gradito trampolino verso la Cina. Sebbene investiamo direttamente in Cina, possiamo anche sfruttare gli sviluppi cinesi attraverso il Giappone. Lo facciamo per esempio con un marchio di cosmetici come Kosei, che è molto popolare in Cina, ma anche il produttore di biberon Pigeon è leader di mercato lì. Attenzione, questi sono prodotti che non rientrano nel raggio dell’introduzione di nuova regolamentazione da parte del governo cinese”.
Ci sono infine pochi soggetti che seguono il Giappone. “Un tempo un’affermazione molto diffusa tra gli investitori era che si andava in Giappone solo per perdere soldi. Ora il mercato azionario giapponese è di nuovo uno dei pochi a non trovarsi ai massimi storici. Mentre le aziende americane sono seguite da una media di 40 analisti, le aziende giapponesi sono seguite solo da sette, in media. Crediamo che gli investitori possano aggiungere alfa in quella regione con una politica di gestione attiva”, conclude la Berglund.