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Guadagnare con il dollaro debole

Secondo Edmond de Rothschild, non è il momento di abbandonare il biglietto verde. Meglio adeguare i portafogli in maniera tattica e non strategica: ecco come

Uno dei protagonisti indiscussi di questi ultimi mesi è stato il dollaro con la sua discesa. Per gli investitori, però, non è ancora tempo di abbandonare la divisa Usa, raccomanda Gilles Prince, chief investment officer di Edmond de Rothschild (Suisse), secondo cui il biglietto verde resta elemento essenziale nella costruzione dei portafogli. 

Alla base dell’indebolimento del dollaro c’è essenzialmente la concomitanza di preoccupazioni a breve termine. Innanzitutto i tassi di interesse a stelle e strisce sono diminuiti in modo significativo allineandosi al contesto globale di tassi bassi. Di conseguenza, il mercato del reddito fisso statunitense e le operazioni di carry trade hanno perso interesse su base relativa, aspetti che portano ad una minore domanda di biglietti verdi. Inoltre, dato che i differenziali dei tassi d’interesse rispetto all’euro, ad esempio, sono scesi da livelli proibitivi, la copertura valutaria sta diventando meno costosa tornando quindi ad essere una valida opzione per gli investitori. Poi, l’uscita dalla crisi dei mercati finanziari fa sì che il dollaro perda il suo ruolo di bene rifugio. 

“Il dollaro si comporta come una valuta anticiclica e quindi una ripresa economica globale comporterebbe anche una minore domanda di valuta americana. Riscontriamo anche un rinnovato interesse a favore dell’euro sulla scia di una politica fiscale più ampia e più coordinata nel Vecchio Continente”, osserva Prince.

Un altro aspetto riguarda le aspettative di inflazione, tema su cui il recente mutato atteggiamento della Fed ne suggerirebbe un ulteriore aumento, rendendo di fatto il dollaro meno interessante dinanzi alla probabilità che i tassi di interesse americani rimangano bassi. In Europa il rafforzamento della valuta esercita l’effetto opposto suggerendo una correzione al ribasso delle stime di inflazione. 

“Alla luce del recente indirizzo delle banche centrali, ci aspettiamo che le attuali politiche accomodanti rimangano in vigore per un lungo periodo di tempo – afferma l‘esperto -. Come per un cambiamento strutturale, l’osservazione dei cicli a lungo termine del tasso di cambio reale del dollaro confermerebbe che ci troviamo al punto più alto del ciclo che dovrebbe aprire un periodo prolungato di debolezza per la divisa statunitense. Riteniamo tuttavia che il dollaro non debba essere abbandonato troppo rapidamente dato che il relativo percorso di ripresa economica americano previsto dovrebbe essere a favore degli Stati Uniti, rendendo gli Usa un’opzione di fatto inevitabile nella costruzione di un qualsiasi portafoglio. Per quanto riguarda il dollaro, i portafogli dovrebbero poi essere adeguati in maniera tattica e non strategica”.

Come? Dal punto di vista della costruzione di portafoglio, Prince spiega di aver innanzitutto ridotto l’esposizione netta in dollari aumentando le coperture. “In secondo luogo stiamo analizzando come le differenti asset class siano influenzate da un indebolimento della valuta americana considerando tutti i fattori che spiegano i recenti movimenti – aggiunge -. Considerate le aspettative di inflazione più elevate e i tassi d’interesse strutturalmente più bassi, riteniamo ormai meno interessanti i titoli di Stato. I rendimenti sono bassi ed essendo vicini al loro limite inferiore, si sta erodendo anche la capacità di protezione propria dei titoli di Stato rispetto alle azioni. Al contrario, dato che l’aumento dell’inflazione rappresenta un rischio, crediamo ci sia più valore nei titoli di Stato protetti dall’inflazione”. 

“Il settore dell’oro e delle società aurifere trarrebbe naturalmente vantaggio da un’inflazione più alta, da tassi reali più bassi e da un indebolimento del dollaro: tutto ciò si riflette in parte già nei loro prezzi, poiché il mercato è stato rapido nel comprendere questo cambiamento di paradigma”, conclude.

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