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High yield? Meglio delle azioni (ma con cautela)

Per Robeco l’high yield offre un’alternativa migliore rispetto alle azioni in termini di valutazioni, ma il rischio asimmetrico di detenere quest’asset class nella fase finale del ciclo ha accresciuto il costo-opportunità

Dall’inizio del 2023 gli asset rischiosi hanno evidenziato un buon andamento, e l’high yield ha prodotto rendimenti per unità di rischio paragonabili a quelli delle azioni globali. Ma Aliki Rouffiac, portfolio manager del team Sustainable multi asset solutions di Robeco, avverte che non è tutto oro quello che luccica: sulla scia della recente performance, il segmento high yield è ora prezzato alla perfezione; vi sono dunque minori chance di generare rendimenti futuri tramite il restringimento degli spread o di ottenere una remunerazione adeguata per il rischio di una tanto attesa recessione.

La realtà, per l’esperta, è che l’high yield continua a offrire valutazioni più interessanti rispetto alle azioni, per cui se si è ottimisti rispetto ai rischi di recessione l’opportunità è ancora valida. “Soffermiamoci – argomenta – sul differenziale storicamente elevato tra il rendimento dell’indice high yield globale e il rendimento degli utili delle azioni globali, che si colloca al 3,3%, al di sopra della media di lungo termine (2,7%) e ancor più in alto di quella del 2010-2023 (0,8%). I mercati prezzano attualmente scenari molto diversi tra loro, in quanto le aspettative di rendimento e le correlazioni tra asset rischiosi e ‘privi di rischio’ dipingono di volta in volta un quadro di autocompiacimento o di imminente recessione, a seconda del proprio punto di vista. Avvicinandoci alla fine di un ciclo di rialzi dei tassi tra i più bruschi e rapidi mai registrati, ci aspetteremmo che i mercati iniziassero a riflettere prospettive più chiare e uniformi, ma l’andamento laterale osservato dall’inizio dell’anno ha fornito scarse indicazioni”.

“Le aspettative sui tassi di riferimento – prosegue la Rouffiac – prefigurano una riduzione dei tassi a partire dal terzo trimestre di quest’anno, suggerendo che una recessione non è lontana. D’altro canto, i mercati azionari e quelli del credito non scontano ancora una significativa probabilità di recessione entro la fine del 2023. Gli attuali livelli degli spread sono coerenti con tassi di default vicini alle medie storiche e i multipli azionari globali suggeriscono che gli utili rimangono sostenuti e al di sopra dei livelli previsti prima di una recessione”.   

Cercando indicazioni negli ultimi dati macro, per l’esperta non si può trascurare l’enigma posto dal livello di disoccupazione degli Usa rispetto agli indicatori ciclici. “In passato – fa notare – un indice Ism manifatturiero statunitense inferiore a 50, indicativo di una contrazione, ha coinciso tipicamente con un tasso di disoccupazione di almeno il 6% e un rischio crescente di recessione. Tuttavia, oggi il tasso di disoccupazione non ha ancora superato il 3,7%, anche se l’ISM è sotto quota 50 da novembre 2022”.

Insomma, a suo dire, è evidente che il vigore del mercato del lavoro ha prodotto un contesto economico più favorevole, in cui i tassi di default delle imprese sono rimasti inferiori alle medie storiche. Questo nonostante i costi di finanziamento siano aumentati notevolmente a causa del continuo inasprimento della politica monetaria da parte delle banche centrali. “Il peggioramento delle condizioni del credito per i prestiti commerciali e industriali alle medie e grandi imprese negli Stati Uniti, un indicatore anticipatore dei tassi di default, suggerisce che la probabilità di un’accelerazione delle insolvenze è in aumento”, aggiunge la Rouffiac.

Per mettere questo dato in prospettiva, secondo l’esperta se il tasso di disoccupazione salisse al 6% nei prossimi 12 mesi, potremmo aspettarci un aumento dei tassi di default all’8% e un allargamento degli spread verso livelli compresi tra 800 e 1.000 punti base. “Ciò non sarebbe di buon auspicio per il credito high yield, e gli attuali spread a 550 pb (per l’high yield globale) non sono certo a prova di recessione. Tuttavia, per il momento, gli emittenti high yield statunitensi presentano una leva finanziaria contenuta e un’elevata copertura degli oneri finanziari. A sua volta ciò suggerisce che i fondamentali del credito sono ancora compatibili con uno scenario di tassi di default ridotti”, evidenzia. 

Che piaccia o meno, per la Rouffiac l’high yield offre un’alternativa migliore rispetto alle azioni in termini di valutazioni, ma il rischio asimmetrico di detenere quest’asset class nella fase finale del ciclo ha accresciuto il costo-opportunità per gli investitori multi-asset. “La recente narrazione suggerisce di sposare un approccio più cauto, con una preferenza per la fascia di qualità superiore dell’universo high yield e una gestione attiva volta a indirizzare la selezione del credito”, conclude. 

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