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Inflazione, cosa dicono i numeri

Invesco fa il punto sulla velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito

Ora che il tema inflazione è tornato al centro dell’attenzione dei mercati, si sente spesso parlare della velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito. Di solito questo argomento viene citato per indebolire la tesi secondo cui la crescita monetaria è un indice predittivo affidabile dell’inflazione o del reddito nominale. Si sentono affermazioni come “la velocità è instabile”, oppure “la velocità è diminuita a tal punto da compensare l’aumento di M2”.

Ma per John Greenwood (foto), chief economist di Invesco Ltd, l’evidenza storica sia a livello internazionale che negli Stati Uniti è assolutamente chiara: “Di norma la velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito presenta una curva decrescente graduale e varia in misura moderata rispetto a un trend stabile, salvo in caso di turbative rilevanti, monetarie o di altra natura”. 

Ma cos’è la velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito e perché deve avere un trend decrescente costante? “In economia – chiarisce l’esperto -, per velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito s’intende il rapporto tra il reddito nazionale nominale, o Pil, e l’aggregato monetario ampio. Deriva dalla nota teoria quantitativa della moneta che, nella sua versione moderna, lega la moneta al Pil nominale”. 

Ebbene, numeri alla mano, per Greenwood se esaminiamo i dati storici degli Stati Uniti, si nota che il trend della velocità prima della seconda guerra mondiale presenta anch’esso una curva decrescente. “Anche se la qualità dei dati del Pil nominale (calcolato molti anni dopo) probabilmente non è estremamente affidabile, il calo annuale medio della velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito da 4,57 nel 1869 a 1,16 nel 1946 è stato pari a -1,5% p.a., molto simile al risultato relativo a Giappone, Zona Euro e Regno Unito”, chiarisce.

“Ogni scostamento della velocità M2 negli Usa ha una spiegazione specifica: ciò significa che, sebbene autorevoli banchieri centrali ed economisti asseriscano in modo superficiale che l’analisi monetaria non sembri applicabile agli Stati Uniti, in realtà funziona bene”, prosegue l’economista Invesco. 

In conclusione, sulla base di un attento studio dell’andamento della velocità in molti Paesi e di epoche diverse, per Greenwood si può affermare che la velocità negli Stati Uniti non è né instabile né comportamentalmente diversa dalla velocità in altri Paesi. “La recente virata al ribasso del 23% della velocità è stata provocata dai lockdown a causa dei quali il Pil nominale è sceso ed M2 ha registrato un notevole aumento. Poiché la velocità tende a diminuire nel tempo, è estremamente probabile che la velocità negli Stati Uniti ritorni al trend nei prossimi anni- conclude -. Di conseguenza, il reddito nominale Usa è anch’esso destinato a registrare un incremento significativo della crescita. Dal momento che il Pil reale ha un potenziale di rialzo limitato nel breve termine, l’eccedenza della crescita nominale rispetto alla crescita reale si manifesterà sotto forma di inflazione più elevata”.

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