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Investimenti, i rischi macroeconomici da tenere d’occhio

Secondo La Française Am, tra prezzi delle materie prime e politica monetaria meglio essere cauti. Gli asset a reddito fisso a basso rischio offrono opportunità

Dopo un 2022 decisamente turbolento, anche nel 2023 restano diversi rischi macroeconomici che potrebbero influenzare i mercati finanziari e gli investimenti. Ne è convinto François Rimeu, senior strategist La Française Am, secondo cui quest’anno sono innanzitutto di fondamentale importanza i prezzi delle materie prime, soprattutto quelli dell’energia. 

“I prezzi del petrolio e del gas sono scesi significativamente negli ultimi 6 mesi, aiutando l’inflazione a diminuire dai livelli molto alti raggiunti lo scorso anno – fa notare -. Se i prezzi dell’energia dovessero tornare a salire, il lavoro dei banchieri centrali si complicherebbe notevolmente e porterebbe a un aumento dei tassi su tutta la linea. Ciò avrebbe un impatto negativo su tutti gli asset a reddito fisso e probabilmente anche sui mercati azionari”.

Quanto alle banche centrali, queste hanno inasprito le condizioni finanziarie molto rapidamente nel 2022 e, come è noto, c’è un ritardo tra le azioni delle banche centrali e le conseguenze sull’economia. “Ma il lasso di tempo di questo ritardo è variabile – avverte lo strategist -. Dalle ultime indagini pubblicate dal Fed Reserve Board e dalla Banca Centrale Europea (Senior Loan Officer e Bank Lending Survey), sembra che le condizioni finanziarie siano già molto rigide. C’è la possibilità che i banchieri centrali stringano troppo a breve, provocando una recessione. Un ‘atterraggio morbido’ è storicamente molto difficile da realizzare”.

Nell’attuale contesto di alti tassi di interesse, inflazione elevata e crescita contenuta per Rimeu, nel lungo periodo, gli asset a reddito fisso a basso rischio offrano delle opportunità in questo momento. 

“I titoli investment grade rendono attualmente circa il 4% in euro con una curva molto piatta – sottolinea -. Gli swap sull’inflazione a 10 anni sono attualmente intorno al 2,40%, il che significa che il rendimento ‘reale’ è dell’1,6%, un livello storicamente elevato. Poiché non crediamo che l’inflazione elevata sia sostenibile nel lungo periodo, riteniamo che gli asset a reddito fisso a basso rischio possano offrire caratteristiche di rischio/rendimento favorevoli. Questo potrebbe essere particolarmente vero per il debito finanziario, considerando che le banche sono diventate più solide dopo la crisi del 2008”, conclude.

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