Per Union Bancaire Privée, il rischio è che l’attacco a Israele si trasformi in un conflitto prolungato e che coinvolga un numero maggiore di Paesi
“L’invasione del sud di Israele lanciata da Hamas durante il fine settimana, pur essendo l’esplosione di un conflitto regionale e di una crisi umanitaria in corso da tempo, ha il potenziale per espandersi in un conflitto prolungato, che storicamente ha rappresentato un ostacolo per i mercati azionari globali”. È l’analisi di Norman Villamin, group chief strategist di Union Bancaire Privée, che fa il punto sui precedenti storici.
“Un’analisi storica dell’impatto di tali conflitti geopolitici, che vanno dai colpi di stato, agli omicidi politici, agli eventi terroristici, fino alle guerre transfrontaliere tra Stati nazionali, sull’indice S&P 500 a partire dal 1940, suggerisce per tali eventi in aggregato un impatto iniziale modesto, che tende a dissiparsi rapidamente”, sottolinea, precisando però che il tipo e la durata dell’evento sono importanti per comprendere il potenziale impatto sui mercati.
“Gli attacchi terroristici interni (Madrid 2004, Londra 2005, ecc.) hanno storicamente avuto solo un impatto temporaneo sui mercati, con l’S&P 500 in rialzo, in media, dai 3 ai 12 mesi dopo – analizza Villamin -. Tuttavia, è importante notare che un conflitto prolungato che coinvolge più nazioni ha rappresentato un ostacolo per i rendimenti azionari statunitensi su un orizzonte almeno di sei mesi, con la notevole eccezione dell’inizio delle ostilità in Corea”.
Pertanto, in base ai precedenti storici, per l’esperto il rischio che la più grande incursione in Israele dal 1973 si trasformi da evento localizzato a conflitto prolungato e che coinvolga un numero maggiore di Paesi dovrebbe essere tra le principali preoccupazioni degli investitori. “Un conflitto prolungato può potenzialmente coinvolgere l’Iran e mettere a repentaglio la potenziale normalizzazione dei rapporti diplomativi tra Arabia Saudita e Israele, che si dice sia prossima all’annuncio”, osserva.
Villamin fa notare poi che, poiché le esportazioni iraniane e i rilasci dalla riserva petrolifera strategica degli Stati Uniti hanno praticamente compensato i tagli all’offerta saudita avvenuti da settembre, una risposta globale che riduca l’offerta iraniana senza che l’Arabia Saudita compensi con un aumento della produzione creerebbe un nuovo shock dell’offerta per i mercati energetici globali. “Con i titoli azionari del settore energetico storicamente a buon mercato su base assoluta e rispetto al mercato più ampio, il settore potrebbe offrire un rifugio sicuro nel contesto di incertezza geopolitica emerso nel fine settimana”, conclude.