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L’asset allocation per il secondo trimestre

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Generali Investments preferisce il reddito fisso privo di rischio e gioca in difesa nell’azionario. La view

Nonostante la rafforzata fiducia verso lo scenario economico e la viscosità dell’inflazione nel primo trimestre, i momenti di stress bancario hanno portato il mercato a rivalutare al ribasso il percorso della Fed: una combinazione favorevole per i mercati. Questa situazione win-win per tutti, tuttavia, si rivelerà di breve durata, secondo  Vincent Chaigneau, head of research di Generali Investments.

Per l’esperto, le banche centrali affrontano l’arduo compito di destreggiarsi tra i loro obiettivi di inflazione e la stabilità finanziaria. “Sarà complesso, ma ci aspettiamo che giudichino che le condizioni finanziarie tendono a guidare il ciclo, mentre l’inflazione, e in particolare i salari, sono in ritardo. Il ciclo di quantitative tightening è terminato o prossimo alla fine”, spiega, aggiungendo che l’unica certezza nelle previsioni, dopo i recenti eventi bancari, è che gli standard di prestito continueranno a inasprirsi. L’erogazione di credito sta già infatti risentendone, e questa non è una buona notizia per la crescita, dato che questo aumenta i rischi di recessione in futuro.

Quanto alle incognite, per Chaigneau bisogna tenere d’occhio la negoziazione del tetto del debito negli Usa; la connessione tra settore bancario ed emissioni sovrane nell’Ue, finora dormiente; le tensioni Usa-Cina. “Detto questo  – precisa – il 2023 non è il 2008: le perdite (non realizzate) indotte dai tassi sono meno tossiche dei crediti inesigibili, i responsabili politici hanno imparato la lezione della grande crisi finanziaria, i consumi globali sono ancora vivi ed il posizionamento degli investitori è già prudente”.

Reddito fisso: preferire i rendimenti “privi di rischio” al rischio di credito

“I rendimenti meno rischiosi sono scesi – osserva dunque l’esperto -. I rendimenti dei Treasury a 10 anni di solito seguono le aspettative a medio termine sul tasso ufficiale della Fed, ed i rendimenti a 10 anni sono attualmente scambiati al 3,55%, il che offre un margine confortevole rispetto agli standard storici. Prevediamo che le misure del tasso neutrale saranno riviste al ribasso poiché l’economia statunitense scivolerà verso una lieve recessione entro la fine dell’anno, il che suggerisce un potenziale ribasso per i rendimenti lunghi”.

A detta di Chaigneau, è interessante notare, e non sorprende, che i rendimenti a lungo sono diventati relativamente insensibili alle aspettative circa il percorso della Fed a breve termine. “Eventuali ulteriori aumenti renderebbero solo più probabile una recessione, il che proteggerebbe i rendimenti a lungo termine dall’influenza dell’aumento dei tassi a breve termine. Vediamo più ribassi per i rendimenti a lungo termine negli Stati Uniti che in Europa, se non altro perché i titoli europei non sono scambiati a buon mercato (Bund a 10 anni attualmente scambiato da circa 25pb a 5y3m ESTR) e la Bce ha appena iniziato il Qt, con previsione di accelerare la riduzione del portafoglio APP quest’estate (anche se considerazioni sulla stabilità finanziaria potrebbero mettere in discussione tale piano)”.

Quanto al credito investment grade in euro, questo offre un rendimento massimo del 4,30%, quasi 200 punti base sopra il Bund a 30 anni, 150 punti base sopra l’Oat francese a 10 anni e circa 110 punti base sopra il Portogallo a 10 anni (BBB+/Baa2, outlook neutrale). Per Chaigneau, si tratta di una buona performance, se si assume uno scenario senza default. 

“Naturalmente – precisa – gli spread Ig sono esposti a pressioni crescenti in uno scenario di recessione, ma al livello attuale ci piace il rapporto rischio-rendimento, in particolare per gli investitori buy-and-hold; qualsiasi ampliamento dello spread sarebbe probabilmente in parte compensato da un calo dei rendimenti privi di rischio, limitando la flessione totale. L’allargamento nel credito Ig è stato ampio, su base corretta per il beta, rispetto a quello del segmento high yield; continuiamo a essere difensivi su quest’ultimo, dato che a nostro avviso l’asset class sottovaluta il rischio di recessione. Al contrario, l’ampliamento del debito in valuta forte dei mercati emergenti è stato abbastanza contenuto rispetto a quello dell’high yield, ed a questo livello di valutazione diventiamo leggermente meno rialzisti sull’asset class”.

Allocazioni azionarie difensive

Passando all’equity, l’esperto fa notare che le azioni hanno prezzato un atterraggio morbido, non una recessione, registrando performance migliori di quanto previsto nel primo trimestre, soprattutto in Europa, dove lo Stoxx50 ha prodotto un rendimento totale di circa il 13%. Questa inversione è dovuta alla ripresa del sentiment economico e al calo dei tassi a lungo termine, che hanno entrambi contribuito ad una significativa espansione dei multipli. Le migliori notizie economiche e i rapporti sugli utili decenti hanno anche portato a un rimbalzo delle aspettative sugli utili per azione europei (non negli Stati Uniti), ma la maggior parte del rally è arrivata dalla (ri)valutazione.

“Temiamo tuttavia ribassi sia sugli utili che sui multipli – avverte però Chaigneau -. Le aspettative di consenso sugli utili non sono elevate per quest’anno (+0,6% per gli Stati Uniti e +1% per l’Ea), ma generose per il 2024 (rispettivamente 10% e 8%). Temiamo che ciò non riesca a integrare il rischio di una recessione: gli indicatori anticipatori statunitensi segnalano una recessione degli utili più grave. Il Pil Usa finale del 4° trimestre 2022 ha già mostrato un rallentamento della crescita dei profitti e una pressione al rialzo sui rapporti tra costo del lavoro e gli utili; ci aspettiamo che ciò continui, poiché la crescita dei salari si dimostra più rigida per un po’ di tempo, mentre gli standard per la concessione del credito bancario più severi produrranno pressione sulla domanda finale, riducendo il pricing power delle imprese”.

L’esperto considera l’espansione nei multipli sorprendentemente veloce rispetto al calo dei rendimenti reali a lungo termine. Pertanto, il premio per il rischio azionario statunitense è sceso di appena il 2%, ancora ben al di sopra del livello della bolla di Internet, ma basso rispetto agli standard storici. “Un Erp così basso può essere in parte giustificato dall’aumento della volatilità azionaria rispetto alla volatilità delle obbligazioni, ma prevediamo che la situazione si inverta. Man mano che la correlazione azioni-obbligazioni diventa negativa, le obbligazioni offriranno nuovamente un valore di rifugio sicuro e prevediamo che ciò eserciterà una pressione al rialzo sull’Erp”, evidenzia.

“La correlazione tra azioni e obbligazioni a un anno è rimasta positiva e alta – continua -, ed è quello che ci si sarebbe dovuto aspettare nel contesto di un forte aumento dei tassi reali. Quest’ultimo è comunque finito; man mano che i tassi reali iniziano a diminuire, anche la correlazione scenderà. Questo è già iniziato, con lo spettacolare cambiamento di correlazione quest’anno. Le azioni sono state notevolmente resilienti all’aumento della volatilità dei tassi: ancora una volta, vediamo molto spazio per un’inversione di questi modelli di volatilità relativa per il resto dell’anno. Tutto sommato, le azioni hanno anticipato il miglioramento del sentiment economico”. 

Allo stesso modo, Chaigneau considera esagerata la sovraperformance dei titoli ciclici. “Conserviamo una piccola preferenza per le azioni europee ed emergenti rispetto agli Stati Uniti, anche se questa preferenza è diminuita ora che i rendimenti obbligazionari hanno raggiunto il picco, offrendo sollievo al fattore di crescita”, conclude.

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