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Le obbligazioni sono davvero tornate?

Secondo Allianz GI, ora i mercati obbligazionari appaiono molto interessanti per tutti gli osservatori, anche se non ancora del tutto attraenti. Ecco perché e a cosa guardare

Dopo l’aumento dei rendimenti delle ultime settimane i titoli obbligazionari offrono delle opportunità attraenti? “In effetti i rendimenti dei Treasury Usa e dei Bund tedeschi a lunga scadenza sono tornati ai livelli del 2011 e per un breve periodo si sono attestati rispettivamente sopra il 4,25% e ben oltre il 2,5%”, fa notare Stefan Rondorf, senior investment strategist, global economics & strategy di di Allianz Global Investors, secondo cui, però, per trovare una risposta a tale interrogativo bisogna esaminare anzitutto i driver del recente incremento dei rendimenti. 

Perché i rendimenti obbligazionari sono saliti così tanto nonostante ci stiamo chiaramente avvicinando alla fine dei cicli di inasprimento dei tassi delle principali banche centrali? Come spiega l’esperto, il rendimento nominale delle obbligazioni governative è caratterizzato da due componenti: un premio che compensa gli investitori per i rischi inflazionistici e il cosiddetto rendimento reale. “Ora – sottolinea – la recente evoluzione dei rendimenti obbligazionari si deve quasi interamente all’aumento dei rendimenti reali. Negli Stati Uniti i tassi reali sono saliti sino a sfiorare il 2%, mentre in Germania sono passati da molto negativi a vicini allo zero. Si tratta di una normalizzazione dopo anni di politica monetaria estremamente accomodante. Inoltre, gli investitori hanno più fiducia nella resilienza della crescita economica, mentre i timori inflazionistici per lo meno non si sono intensificati”. 

Secondo Rondorf, gli investitori sono stati rassicurati soprattutto dagli sviluppi negli Stati Uniti, dove i consumi sono ancora solidi e gli incentivi (previsti dall’Inflation Reduction Act) stanno alimentando un piccolo boom nella costruzione di fabbriche. Se davvero la crescita è più solida, i tassi di interesse dovranno restare alti ancora per qualche tempo. “Il deficit fiscale Usa più consistente del previsto probabilmente nel breve termine ha penalizzato i mercati obbligazionari – prosegue -. A causa del deficit l’offerta di bond aumenta e le nuove obbligazioni devono essere comprate da qualcuno. Al contempo, la Federal Reserve sta vendendo Treasury per un ammontare di circa 60 miliardi di dollari al mese, un’operazione che alimenta ulteriormente l’offerta e prosciuga la liquidità. Anche la Banca Centrale Europea e altre banche centrali stanno riducendo gradualmente i rispettivi bilanci”.

Inoltre, a detta dell’esperto, la decisione della Banca del Giappone di non intervenire più per contenere i rendimenti dei titoli governativi a 10 anni allo 0,5% influirà verosimilmente sui flussi globali di capitale nei mercati obbligazionari. “In questo nuovo regime, le obbligazioni giapponesi risultano più interessanti agli occhi degli investitori locali, che potrebbero quindi ridurre le posizioni di copertura in bond europei o statunitensi”, afferma.

Tali driver per Rondorf hanno per lo più un impatto di breve periodo. Tuttavia, a suon dire un investimento a lungo termine in obbligazioni governative è ragionevole solo se i rendimenti dei titoli superano l’inflazione. “Guardando ai Bund, titolo rappresentativo delle obbligazioni governative dell’area euro, sorge però qualche dubbio – precisa -. Anche nell’ipotesi favorevole che la Bce manchi il target di inflazione del 2% solo di mezzo punto percentuale nel medio periodo, il rendimento attuale dei Bund decennali (2,5% circa) sarebbe appena sufficiente a preservare il potere di acquisto. Negli Stati Uniti, invece, sembra possibile ottenere un rendimento reale positivo”.

Nel complesso, secondo Rondorf sembra che le obbligazioni siano interessanti soprattutto per gli investitori convinti che i tassi di interesse torneranno a scendere nell’immediato e che quindi i prezzi saliranno. Tale ipotesi potrebbe avverarsi in caso di contrazione economica significativa, ovvero qualora l’inasprimento delle banche monetarie fosse riuscito a frenare la domanda e di conseguenza l’inflazione. “In sostanza – chiarisce – i mercati obbligazionari non rappresentano più un ‘rischio senza rendimento”, come sono stati definiti in tono un po’ dispregiativo. Ora appaiono molto interessanti per tutti gli osservatori, anche se non risultano ancora del tutto attraenti”.

Tale contesto implica alcune considerazioni in termini di asset allocation. “I rendimenti obbligazionari più elevati accrescono l’attrattività relativa delle obbligazioni governative rispetto ad altre asset class. Ciononostante, secondo noi gli investimenti azionari offrono maggiori possibilità di conseguire un ritorno che vada al di là del mero mantenimento del potere di acquisto a lungo termine. Dal punto di vista tattico, il ritorno offerto dalle obbligazioni sarebbe più elevato in caso di decelerazione economica, un’eventualità che potrebbe preludere a un taglio dei tassi”, spiega ancora Rondorf.

Nel breve periodo, secondo l’esperto i mercati azionari appaiono ancora vulnerabili a battute d’arresto: l’aumento delle valutazioni e le previsioni ottimistiche sugli utili esprimono attese di soft landing, vale a dire un calo dell’inflazione ma senza recessione. Inoltre, di recente i dati economici relativi a Europa e Cina sono peggiorati. “L’economia Us dà invece prova di robustezza, ma presto diversi fattori positivi (costruzioni nel settore manifatturiero, varie opportunità di spesa in attività culturali e ricreative nel corso dell’estate) potrebbero iniziare a scomparire”, mette in guardia, aggiungendo che nel prossimo futuro, il trend ribassista dell’inflazione potrebbe subire qualche scossone. “L’aumento dei prezzi del petrolio e gli effetti base meno favorevoli anno su anno potrebbero frenare il calo dei tassi di inflazione. Il caro petrolio si deve essenzialmente alla riduzione delle forniture decisa dall’OPEC+. Di recente il dollaro Usa si è nuovamente apprezzato. E potrebbe beneficiare della solida crescita statunitense e di un contesto di mercato più volatile”, conclude.

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