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L’energy squeeze è qui per restare

calo inflazione

L’impatto dei prezzi dell’energia e dei problemi legati all’offerta sull’inflazione potrebbe far presagire una crisi economica. L’analisi di Jupiter Am

“La questione energetica rappresenta una parte importante del contesto di inflazione e i problemi attuali non saranno risolti da un giorno all’altro. In Occidente è un problema di lungo termine causato da ridotti investimenti nel petrolio, nel gas e nel nucleare, nonché da una spinta verso le energie rinnovabili”. È la tesi di Luke Kerr, fund manager UK Small & Mid Cap di Jupiter Am, secondo cui  il problema dell’energy squeeze è stato esacerbato nel breve termine dall’andamento meteorologico sfavorevole, ma si tratta solo di una parte della questione. 

“Una crescente dipendenza dalle energie rinnovabili implica che abbiamo molta produzione di energia, ma non necessariamente nei momenti della giornata in cui la gente ne ha più bisogno. Al momento non disponiamo della tecnologia o delle infrastrutture necessarie a immagazzinare e rilasciare efficacemente quell’energia e sarà così per molti anni a venire. I governi occidentali, a meno che non facciano inversione di marcia sulla politica climatica, dovranno far fronte per molto tempo con un energy squeeze, cioè una carenza di energia” avverte.

Tutto questo è preoccupante. Ma per Kerr la domanda più pressante gli investitori azionari è: quanto deve durare l’attuale dinamica dei prezzi prima di creare un serio problema economico? “Se si guarda alle esperienze passate – analizza -, a prezzi dell’energia molto alti fa spesso seguito una sorta di catastrofe finanziaria: i prezzi del petrolio e del gas sono già ampiamente all’interno di questo range e stanno aumentando. A parte la decisione se spostare i portafogli in una direzione più difensiva o meno, ci sono considerazioni a livello azionario sui costi per le imprese ad alta intensità energetica nei prossimi dodici mesi, quando i contratti di energia forward andranno a scadenza”.

Un altro aspetto che guida l’inflazione riguarda le interruzioni sul lato dell’offerta. “La logistica dei trasporti è stata un tema caldo nel Regno Unito per diverse settimane, ma non è affatto un problema solo d’Oltremanica – argomenta il fund manager -. È essenzialmente legato al Covid-19 (o è stato drammaticamente accelerato da esso), ma anche se il Covid scomparisse magicamente domani, non risolverebbe le sfide sul fronte della logistica a livello mondiale. Si tratta di problemi ormai noti, con una dislocazione del mercato del lavoro che può essere risolta solo con un riposizionamento a lungo termine della forza lavoro”. 

Ci sono alcune aziende che possono trasferire senza problemi i maggior costi sostenuti, compresi i leader dell’industria con una quota di mercato dominante. Altre, come i pub e i ristoranti, potrebbero trasferirli ma non vogliono farlo per ragioni di concorrenza. Infine, ci sono settori come i produttori di cibo e i rivenditori online che sembrano incapaci di trasferire i costi più alti sul consumatore.

Insomma, indipendentemente dal fatto che l’inflazione stessa sia transitoria o meno, gli effetti che questo picco inflazionistico (se è solo un picco) sta avendo, per Kerr non sono certamente transitori. “Come investitori e costruttori di portafogli, è qualcosa a cui dobbiamo far fronte, e come gestori attivi abbiamo naturalmente la capacità di cambiare tutto questo in modo significativo se decidiamo che è nel migliore interesse dei nostri clienti”, conclude.

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