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Mercati, è il momento essere cauti

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Tra guerra, inflazione e rallentamento della crescita, Moneyfarm consiglia di allungare leggermente la scadenza media dei bond in portafoglio e un approccio cauto nell’esposizione azionaria

Di Roberto Rossignoli, Portfolio Manager Moneyfarm

Il mese di aprile è stato caratterizzato dall’ambivalenza dei mercati: mentre si sono registrate performance positive per materie prime, oro, obbligazioni governative cinesi ed emergenti a breve termine, i maggiori indici azionari hanno invece chiuso al ribasso, prezzando il peggioramento delle condizioni economiche dovuto alle tensioni geopolitiche e alla nuova ondata di contagi in Cina. Le condizioni economiche hanno dunque influenzato negativamente la crescita nel primo trimestre dell’anno: i dati preliminari sull’andamento del Pil per l’Eurozona e per gli Usa hanno deluso le aspettative, già riviste al ribasso nei mesi precedenti.

Nei primi tre mesi del 2022, il Pil dell’Eurozona è cresciuto dello 0,2% annualizzato, meno del previsto, e ha fatto registrare un deciso rallentamento rispetto ai numeri del 2021, in un contesto in cui la Banca Centrale Europea aveva già rivisto al ribasso le stime per la crescita del Pil, fissate per il momento al 3,7% per il 2022, 2,8% per il 2023 e 1,6% per il 2024.

Rispetto alle proiezioni degli esperti dell’Eurosistema di dicembre 2021, le prospettive per la crescita sono state riviste al ribasso di 0,5 punti percentuali per il 2022, principalmente a causa dell’impatto della crisi ucraina sui prezzi dell’energia, sul commercio e, in generale, sul clima di fiducia. Questa revisione verso il basso è in parte compensata da un effetto positivo esercitato dalle correzioni al rialzo dei dati per il 2021. La crescita nel 2023 è stata invece rivista al ribasso di 0,1 punti percentuali, mentre resta invariata quella per il 2024.

Roberto Rossignoli, Portfolio Manager Moneyfarm

La situazione non è rosea neanche sul fronte Usa: secondo i dati pubblicati dal Dipartimento del Commercio, nel 1° trimestre del 2022 il Pil statunitense ha registrato una contrazione dell’1,4% rispetto al +6,9% indicato nel trimestre precedente, nonostante il rafforzamento dei consumi, che segnano un +2,7% dal +2,5% del trimestre precedente.

La diminuzione del Pil reale riflette diverse dinamiche, tra cui la riduzione degli investimenti in scorte private, il rallentamento delle esportazioni e della spesa del governo federale, statale e locale. Le importazioni, che nel calcolo del Pil rappresentano una “sottrazione”, sono invece notevolmente aumentate. Il dollaro forte ha pesato nel peggioramento della bilancia commerciale, dato che ha contribuito decisamente alla sorpresa negativa. I dati sulla crescita Usa si inseriscono in un contesto di andamento dei prezzi di difficile previsione e caratterizzato da livelli di inflazione sempre elevati, anche se scesi dall’8,5% di marzo (il valore più alto dal 1981) all’8,3% di aprile. 

Da un lato, la componente legata al prezzo dell’energia sembra suggerire un percorso di normalizzazione, ma dall’altro la volatilità di alcune componenti come auto e biglietti aerei rende i numeri complessivi di difficile previsione. La parte legata al mercato immobiliare sembra inoltre posizionarsi strutturalmente su valori elevati: la Federal Reserve, dal canto suo, ha agito alzando i tassi di riferimento sui Fed Funds dello 0,50%, portandoli all’interno di una forchetta compresa tra lo 0,75 e l’1%, e ha anche annunciato l’avvio della riduzione del proprio bilancio a partire da giugno. Il ritocco di mezzo punto era una mossa ampiamente attesa dal mercato e rappresenta l’intervento più ampio dal maggio del 2000.

Più critica, a nostro avviso, la situazione nell’Eurozona, dove, secondo la Bce, l’inflazione complessiva prevista sarà ancora molto elevata nei prossimi mesi, per poi intraprendere una lenta discesa verso l’obiettivo, 5,1% nel 2022, al 2,1% nel 2023, fino all’1,9% nel 2024. Il Consiglio direttivo della Bce ritiene infatti probabile che l’inflazione si stabilizzi al suo obiettivo del 2% nel medio termine. Nonostante gli indici dei consumi continuino a peggiorare, il Covid in Cina sembri lontano da una soluzione e la guerra in Ucraina continui nostro malgrado, i dati di Pil e inflazione, seppure peggiori delle attese, hanno offerto qualche spunto positivo e i fondamentali societari sono rimasti sorprendentemente solidi. La stagione degli utili è stata sì meno brillante del solito, ma la profittabilità delle aziende è rimasta elevata e il mercato del lavoro continua a essere solido. 

A nostro avviso, è preferibile mantenere un approccio cauto, in attesa di ricevere segnali più univoci sulla normalizzazione dell’inflazione, la resilienza della crescita economica e il miglioramento della situazione geopolitica.

Quando il focus degli investitori si sposta dall’inflazione a una possibile recessione, consigliamo di allungare leggermente la scadenza media delle obbligazioni in portafoglio e di mantenere un approccio cauto nell’esposizione azionaria. Inoltre continuiamo a suggerire una diversificazione su tre dimensioni: azionario, obbligazionario e materie prime.

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