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Mercati emergenti, il momento per rientrare è adesso

Per Robeco siamo all’inizio di una nuova fase di relativo vigore dei mercati emergenti che potrebbe durare anni. L’analisi

“I portafogli multi-asset di Robeco sono ora sovraesposti alle azioni dei mercati emergenti, poiché l’asset class ha voltato pagina dopo molti anni di sottoperformance”. Parola di Arnout van Rijn, portfolio manager di Robeco Sustainable Multi-Asset Solutions di Robeco, che tra i fattori favorevoli annovera il fatto che le banche centrali dei Paesi emergenti non hanno attuato misure espansive dagli effetti inflazionistici, come si è visto invece in Occidente con i Qe, e il fatto che molti mercati sviluppati sono alle prese con una potenziale recessione, poiché le autorità monetarie sono impegnate a contenere l’inflazione a colpi di rialzi dei tassi di interesse. Tutto questo, a suo dire, offre un notevole differenziale di rendimento.

“I mercati emergenti – spiega – sono sempre stati venduti con la promessa di maggiori rischi ma anche di maggiori rendimenti, determinati da una crescita economica più sostenuta. Considerando l’andamento dei rendimenti dal 1992, anno di nascita dell’asset class, le azioni emergenti non hanno prodotto i risultati sperati. Invece, abbiamo registrato due lunghe e imponenti ondate di rialzi e due deludenti periodi di sottoperformance, soprattutto negli ultimi dieci anni”. 

“Di recente – prosegue van Rijn – siamo diventati più ottimisti sui mercati emergenti e siamo passati a un sovrappeso nei nostri portafogli, disinvestendo dai mercati sviluppati e mantenendo un assetto nel complesso neutrale sull’azionario globale. Crediamo che siamo all’inizio di una nuova fase di relativo vigore che potrebbe durare anni. Nelle nostre prospettive quinquennali pubblicate negli Expected Returns lo scorso settembre abbiamo previsto un rendimento annualizzato del 4,0% per i mercati sviluppati e del 5,25% per i mercati emergenti. Siamo del parere che questa previsione a lungo termine sia oggi alquanto tempestiva da un punto di vista tattico”.

Sganciarsi dagli Stati Uniti

Un aspetto da monitorare, a detta del portfolio manager, sarà la capacità dei mercati emergenti di sganciarsi dal predominio degli Stati Uniti: in una simile eventualità, le economie emergenti inizierebbero a seguire più l’esempio della Cina che quello degli Usa, anche se la crescente potenza di Pechino e la sua ampia sfera di influenza tendono a ridurre i vantaggi della diversificazione tra singoli paesi. 

“Nel mondo sviluppato dominano gli Stati Uniti, mentre nei mercati emergenti la Cina è di gran lunga il componente maggiore dell’indice – chiarisce -. Tuttavia, in entrambi i casi i rendimenti passati sono stati dominati dalle vicende statunitensi. Le due serie storiche presentano un’elevata correlazione, ma in definitiva gli Stati Uniti hanno offerto rendimenti di gran lunga migliori nell’ultimo decennio. Riteniamo che i mercati emergenti abbiano discrete possibilità di sganciarsi dagli USA, grazie alla ripresa asincrona che osserviamo in Cina e alle sue ricadute positive sul resto dell’Asia. I mercati emergenti appaiono diversi anche dal punto di vista settoriale, dato il ruolo più rilevante dei titoli finanziari e dei semiconduttori. In passato abbiamo già analizzato in una luce favorevole le prospettive per i chip”.

Ortodossia delle banche centrali

La disparità dei vasti programmi di quantitative easing delle banche centrali è un altro fattore di vantaggio per i mercati emergenti. In un mondo in cui le politiche monetarie non convenzionali sono diventate la norma, gli istituti centrali dei mercati emergenti in generale si distinguono per la loro ortodossia. “Anche durante la fase acuta del Covid nel 2020 – fa notare van Rijn – poche economie emergenti hanno evidenziato una crescita superiore al 10% dell’aggregato monetario M2; si tratta di un dato molto modesto rispetto all’abbondanza di moneta registrata negli Stati Uniti (crescita di M2 oltre il 25%), nell’UE (oltre il 12%) e in Giappone (10%). Questo significa che la causa ultima dell’inflazione nei mercati sviluppati – l’espansione della massa monetaria – è assente dall’universo emergente”.

Effetti di un dollaro forte

A causa della forza evidenziata dal dollaro negli ultimi anni, molti mercati emergenti hanno mantenuto una politica alquanto restrittiva. “Nel 2023 la probabilità di un taglio dei tassi in queste economie è piuttosto elevata – prosegue il portfolio manager – mentre non abbiamo molta fiducia nella possibilità di un cambio di rotta da parte della Federal Reserve, ipotesi su cui si basa il recente rally degli Stati Uniti. I dati sull’inflazione nei principali mercati emergenti sono molto più favorevoli, mentre i tassi di interesse sono più alti. Sicuramente i tassi reali più elevati e le prospettive di un picco dell’inflazione offrono maggiori chance di un allentamento rispetto a quanto previsto per gli Stati Uniti e l’Europa, dove i mercati si limitano a sperare in una svolta della Fed, in modo quasi irrazionale”.

Per van Rijn anche le obbligazioni dei mercati emergenti sono relativamente appetibili. Gli spread del credito asiatico sono ancora ampi, anche se è bene non lasciarsi ingannare dalle rischiose obbligazioni immobiliari cinesi. “Complessivamente parliamo di livelli di spread di 200-250 punti base, che potrebbero sembrare esigui, ma qui non vediamo alcun rischio di recessione, a differenza degli Stati Uniti o dell’Europa”, precisa.

Problemi valutari e di governance

Nonostante questo, le criticità non mancano. Molti paesi asiatici hanno una tradizione di corporate governance carente, soprattutto per quanto riguarda il trattamento degli investitori esterni e l’allocazione del capitale. “Riteniamo che la governance e il profilo valutario di questi paesi siano migliorati – afferma -. La Corea del Sud sta facendo grandi progressi in direzione di un maggior orientamento al valore per gli azionisti, mentre in Cina il punto di minimo del sentiment anti-imprese (“prosperità comune”) è ormai alle nostre spalle. Le nostre attività di engagement in molti mercati emergenti stanno dando i loro frutti, in quanto le imprese vogliono imparare le best practice da noi. Inoltre, molte società stanno facendo passi da gigante negli investimenti mirati alla transizione energetica”.

Per van Rijn la tesi delle valutazioni azionarie rimane fondamentale: non solo le azioni emergenti sono scambiate a multipli vicini ai minimi in termini relativi, ma continuano anche a offrire maggiori opportunità di valore rispetto ai mercati sviluppati. “Pertanto, abbiamo diversi motivi per essere più ottimisti sui titoli azionari emergenti in futuro”, conclude.

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