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Mercati, occhio a inflazione e Big Tech

Le Big Tech hanno mostrato un trend che potrebbe ridisegnare l’assetto del mercato Usa. Intanto le attese  sulle politiche monetarie potrebbero essere presto smentite. L’analisi Moneyfarm

La seconda metà di ottobre ha dato un po’ di respiro agli investitori, con i mercati azionari in netto rialzo, soprattutto nella seconda metà del mese, dopo una stagione degli utili meno drammatica del previsto e dopo che gli ultimi meeting delle banche centrali sembrano lasciare intendere sia stato ormai raggiunto il picco delle politiche monetarie restrittive.

Ottobre, come fa notare Roberto Rossignoli, portfolio manager Moneyfarm, è stato inoltre caratterizzato da una debacle sui mercati emergenti, appesantiti dalla stretta regolamentare apparentemente senza fine, viste soprattutto le poche speranze di cambiamento all’indomani di un congresso del Partito Comunista che ha rafforzato la posizione di Xi Jinping al vertice, dando inizio ad un terzo mandato che porta con sé diverse sfide, tra cui quella economica e politica.  

La performance dei principali listini azionari dei Paesi sviluppati è stata dunque positiva. “Gli Stati Uniti hanno guadagnato circa il 7%, meno però delle controparti europee (8%) – argomenta Rossignoli -. L’obbligazionario, invece, ha chiuso leggermente in negativo, spinto dall’aumento dei timori inflattivi nel breve termine, che hanno per contro aiutato i bond indicizzati all’inflazione. Infine, le materie prime hanno performato bene (+5%), con il comparto energetico combattuto tra le paure geopolitiche e legate alla crescita economica e la possibilità di un price cap  in Europa”.

Ottobre: la stagione delle Big Tech

Un trend interessante, a detta del portafolio manager di Moneyfarm, riguarda i colossi tecnologici che hanno guidato i listini negli ultimi cinque anni: Apple, Amazon, Google, Microsoft e Facebook, che da soli valgono oltre il 20% di tutte le società quotate Usa. Queste aziende hanno per anni basato il proprio successo borsistico su un’aspettativa di costante espansione degli utili, che ha portato a valutazioni molto elevate dei loro titoli.

“In questa stagione – spiega – abbiamo per la prima volta assistito a tassi di crescita inferiori o simili al resto delle aziende quotate, risultato al quale è seguita una correzione decisa dei prezzi azionari di tutto il settore. Si tratta di un trend molto interessante che potrebbe ridisegnare l’assetto del mercato finanziario statunitense. I risvolti non sono del tutto negativi: la concentrazione, ovvero la presenza di poche grandi aziende che dominano il mercato, è sempre da guardare con diffidenza e un riequilibrio sarebbe sicuramente utile per i rendimenti attesi di lungo termine”.

Politiche monetarie e banche centrali

Nonostante ottobre abbia visto le principali banche centrali procedere con i rialzi dei tassi d’interesse, il tono, almeno nelle dichiarazioni, sembra essersi alleggerito. “In Europa ogni decisione sul programma di acquisto titoli è stata rimandata a dicembre – analizza Rossignoli – e la Bce si è detta pronta a valutare il contesto economico prima di smantellare il tapering, annuncio che ha contribuito a tranquillizzare i mercati. Negli Stati Uniti, nonostante sia altamente probabile che la Fed continui a muoversi alzando i tassi fino ai primi mesi del prossimo anno, i principali esponenti dell’Istituto si sono lasciati andare a dichiarazioni più accomodanti che in passato, lasciando intravvedere un barlume di luce alla fine del tunnel”.

“Tuttavia, è bene tenere a mente che l’inflazione nell’ultimo mese ha continuato a correre in entrambe le geografie- avverte in conclusione il portfolio manager -. Di conseguenza, a nostro parere, c’è un rischio significativo che le banche centrali possano smentire presto le speranze dei mercati ribadendo la determinazione di combattere l’aumento dei prezzi a qualsiasi costo.

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