Secondo Ubp, per l’oro i rischi al ribasso prevalgono sul miglioramento del sentiment. E il prezzo tornerà intorno ai 1.900 dollari l’oncia
Ad ottobre, l’oro è passato da circa 1.815 dollari a un massimo di poco superiore a 2.000 dollari per oncia. Questo rapido rialzo è stato dato dall’aumento delle tensioni geopolitiche a seguito dell’attentato del 7 ottobre in Israele. Anche la volatilità dell’oro è aumentata in modo deciso, con la volatilità implicita a un mese che è passata nel giro di una settimana dal 9,0% a un massimo del 16%, anche se successivamente è scesa a livelli di poco inferiori al 12%. Secondo Peter Kinsella, global head of forex strategy di Ubp, il calo della volatilità implicita suggerisce che la percezione dell’avversione al rischio da parte degli investitori sta diminuendo. “Intuitivamente- spiega -, ciò ha senso. Non è il conflitto in Israele a spaventare gli investitori, quanto piuttosto la prospettiva di una più ampia conflagrazione geopolitica. A questo proposito, sembra che l’effetto domino sarà limitato, se non addirittura inesistente. Di conseguenza, riteniamo che l’oro possa ritornare a livelli di circa 1.900 dollari l’oncia”.
L’esperto fa poi notare che l’oro continua a scambiare con un premio incredibilmente elevato rispetto ai rendimenti reali (Tips a 10 anni). “Nelle ultime settimane – sottolinea – i rendimenti dei Tips sono scesi, riflettendo il calo dei rendimenti decennali. Tuttavia, continuano a essere scambiati a livelli superiori al 2% e, in un contesto di rendimenti reali positivi e duraturi, l’oro sembra destinato a faticare a salire materialmente rispetto ai livelli attuali. Il risultato è che riteniamo che l’oro abbia spazio per tornare nelle prossime settimane a livelli di circa 1.900 dollari per oncia. Il recente aumento del posizionamento netto lungo è interamente legato alle preoccupazioni legate all’avversione al rischio e, quando queste si dissolveranno, possiamo aspettarci che gli investitori ridurranno nuovamente il posizionamento sull’oro, il quale subirà nel breve termine dei risultati chiaramente negativi”.
L’unica nota positiva per il mercato dell’oro, a suo parere, è stata la notizia che le banche centrali hanno continuato ad aumentare le loro esposizioni. Nei primi nove mesi dell’anno hanno acquistato circa 800 tonnellate, con un aumento del 14% rispetto al 2022, un anno record per gli acquisti di oro da parte delle banche centrali, che hanno superato le 1.000 tonnellate. Questo forte interesse per gli acquisti da un anno all’altro è, a detta di Kinsella, uno dei motivi per cui l’oro ha probabilmente mostrato forti rendimenti, nonostante gli elevati livelli dei rendimenti nominali, sia nella parte anteriore che in quella posteriore delle curve dei rendimenti della maggior parte dei mercati sviluppati.
Argento – Probabile stabilizzazione nel mese di novembre
All’inizio di ottobre, l’argento è sceso ai minimi, pari a circa 20,70 dollari. La flessione iniziale ha rispecchiato l’aumento dei rendimenti decennali statunitensi a livelli superiori al 5%. Tuttavia, il calo non è durato a lungo. L’attentato del 7 ottobre in Israele ha infatti portato a grandi guadagni per i beni rifugio e, dato l’elevato beta dell’argento rispetto all’oro, alla fine del mese l’argento è salito in modo aggressivo fino a livelli superiori a 23 dollari per oncia. “Il rialzo è stato volatile rispetto agli standard storici, con la volatilità implicita a un mese che è passata da livelli di appena il 20% a massimi di circa il 28% – osserva l’esperto -. Questo profilo di volatilità è successivamente sceso a livelli di circa il 24%. L’elevato profilo di volatilità significa che gli investitori sono ora ben ricompensati per aver venduto volatilità xag/usd”.
Per Kinsella, a novembre l’argento si stabilizzerà intorno ai livelli attuali: il calo dell’avversione al rischio potrebbe trascinare l’argento verso il basso, ma il recente calo dei rendimenti obbligazionari statunitensi a lungo termine è piuttosto costruttivo per i metalli ad alto beta come l’argento. “Inoltre – precisa – osserviamo che stiamo iniziando a vedere un miglioramento dei dati Pmi manifatturieri, sia negli Stati Uniti che in Cina. Si nota un notevole miglioramento nei sondaggi nella componente aspettative/nuovi ordini, il che suggerisce che stiamo per assistere a un ciclo di rifornimento delle scorte. Ciò è di fondamentale supporto per l’argento e il risultato è che pensiamo che i prezzi si stabilizzeranno intorno ai livelli attuali”.
A suo parere, poi, in questo mese i rischi al ribasso non dovrebbero rivelarsi troppo pronunciati. “Mentre c’è spazio per un declino a livelli di circa 22 dollari per oncia, notiamo che lo squilibrio fondamentale domanda-offerta (l’argento sta entrando in un periodo di deficit di offerta prolungata) è altamente favorevole. La conclusione da trarre da questo è che probabilmente l’argento è ben supportato e non riteniamo che rivedremo presto i minimi di ottobre”, afferma.
Platino – Ribasso limitato
Il platino ha iniziato il mese di ottobre con un forte calo, scendendo ai minimi di circa 865 dollari per oncia. Il calo ha rispecchiato i movimenti dell’oro e dell’argento, che hanno riflesso l’aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi a lungo termine. Il platino ha inizialmente sottoperformato nel periodo successivo agli attentati del 7 ottobre in Israele, ma questa sottoperformance non è durata troppo a lungo e i prezzi hanno raggiunto i massimi di 935 dollari l’oncia alla fine del mese. “La sottoperformance iniziale riflette probabilmente il fatto che il platino è considerato più un metallo industriale che un metallo prezioso, anche se con una certa domanda di gioielli”, chiarisce Kinsella.
Secondo l’esperto, la risalita verso livelli superiori ai 900 dollari per oncia è stata in realtà una forma di recupero rispetto al più ampio gruppo dei Mgp, ma ha anche riflesso il miglioramento dei dati sulla crescita e, in particolare, i dati sulla produzione manifatturiera e industriale migliori del previsto. “I dati sul Pil del terzo trimestre della Cina hanno superato le aspettative, attestandosi al 4,9% annuo (consenso 4,50%) e sono stati accolti con un discreto rialzo del platino – prosegue -. Le tendenze dei dati Pmi manifatturieri statunitensi e cinesi indicano che probabilmente siamo all’inizio di un ciclo di rifornimento delle scorte e questo dovrebbe limitare nel breve termine un ribasso del platino nel breve termine. Non si tratta necessariamente di un segnale rialzista per il platino, perché le aziende cinesi stanno attingendo da enormi scorte fisiche onshore, limitando così qualsiasi impatto sui prezzi”.
Kinsella evidenzia poi che le carenze di elettricità in Sudafrica hanno apparentemente avuto solo effetti attenuati sull’offerta di platino, il che significa che il premio di rischio incorporato si è probabilmente ridotto, riflettendosi nel prezzo a pronti. “Il mercato complessivo rimane ancora in deficit di offerta, a causa dei continui effetti di sostituzione con il palladio (si usa più platino – meno palladio) e questo dovrebbe limitare il ribasso materiale al di sotto dei 900 dollari per oncia, a nostro avviso. A novembre, ci aspettiamo che queste tendenze sostengano i prezzi a livelli superiori a 900 dollari per oncia, ma qualsiasi rialzo dovrebbe essere limitato: non prevediamo un’impennata dei prezzi verso i 1.000 dollari per oncia fino al primo trimestre del 2024”, conclude.