Impronta ecologica, superamento dell’infrastruttura, volatilità e quadro normativo sono gli aspetti più controversi della regina delle criptovalute. L’analisi Ostrum Am
Le valute digitali sono ormai protagoniste della scena finanziaria. Solo dieci anni fa erano praticamente sconosciute ai non addetti ai lavori, mentre oggi sono al centro delle politiche programmatiche delle maggiori istituzioni mondiali, sia pubbliche sia private. Soprattutto il bitcoin, regina delle criptomonete.
Nonostante alcuni elementi positivi, però, non mancano gli aspetti controversi, che Stéphane Déo, head of markets strategy di Ostrum Am, affiliata di Natixis Im, riassume in quattro punti: impronta ecologica, superamento dell’infrastruttura, volatilità e quadro normativo.
“La prima cosa da dire è che il bitcoin è una catastrofe ambientale – afferma -. Nel settore finanziario, l’attenzione per la sfera Esg acquisisce una centralità sempre crescente, quindi la discussione sulle cripto-attività deve comunque partire dal presupposto che, oggi, l’impronta ecologica del solo bitcoin è superiore a quella dei Paesi Bassi. L’impronta di carbonio di una sola transazione è pressoché equivalente a quella di un volo da Parigi a Mosca”.
Si aggiunge poi un problema di scala, secondo l’esperto: ogni giorno, si registrano infatti circa 300.000 transazioni in bitcoin. “Cifra alta, senz’altro, ma non dimentichiamo che la rete Visa gestisce circa 150 milioni di transazioni al giorno e che l’infrastruttura intorno al Bitcoin e ad altre cripto-attività è lenta e diventa rapidamente obsoleta”, chiarisce.
C’è poi il problema della volatilità. “Per questo motivo le cripto-attività sono ottime a fini speculativi, ma inadeguate come beni rifugio o come unità di cambio che, in fin dei conti, sono le finalità principali della moneta – sottolinea Déo -. Se si ha intenzione di preservare il proprio patrimonio o di programmare un’operazione rilevante, non ci si affida certo a un asset che potrebbe raddoppiare o dimezzare rapidamente il proprio valore”.
L’ultima controindicazione è l’incertezza del quadro normativo e fiscale nei diversi ordinamenti, aspetto a cui un investitore istituzionale deve prestare particolare attenzione.
“A dispetto di tutte queste note negative – aggiunge l’esperto -, resta il fatto che, a febbraio 2021, la capitalizzazione totale di tutte le cripto-attività era di gran lunga superiore a un trilione di dollari. Si tratta di più del 10% delle attuali riserve auree mondiali, dunque di un valore non trascurabile. Tra l’altro, 300.000 transazioni al giorno sono una cifra minuscola su scala globale, ma comunque ben lontana da zero”.
Secondo Déo, un punto a favore è il fatto che si tratta di attivi non correlati, che tendono ad essere sottoposti a forze diverse rispetto alla generalità del mercato. Inoltre hanno un’esposizione limitata ai rischi di coda, per cui anche un piccolo investimento potrebbe diventare particolarmente remunerativo nel lungo termine.
“Tra l’altro il bitcoin è diventato anche un ‘brand’ – conclude l’esperto -. Il libro bianco originale fu pubblicato nel 2008 e, da allora, questa valuta è passata dalle retrovie estreme all’essere un argomento di cui anche i non esperti hanno sentito parlare. Ha fatto avanzare la riflessione, ha dimostrato le potenzialità, e i limiti, della tecnologia blockchain su cui si basa e ha fatto sì che la distribuzione diffusa di attivi digitali protetti da sicurezza crittografica non fosse più solo possibile, ma addirittura probabile”.