Per Novelli (Lemanik) solo alla fine del prossimo anno dovremmo recuperare i livelli di Pil del 2019 senza intoppi. Ecco perché
“Il principale rischio che si prospetta è quello di ripetute ricadute in recessione nel corso del tempo e, quindi, non condivido le previsioni di una ripresa forte e lineare senza interruzioni fino alla fine del 2021, momento nel quale dovremmo recuperare i livelli di Pil del 2019 senza intoppi. L’impatto della crisi sarà dunque, per quanto possibile, diluito nel tempo e probabilmente durerà molto di più di quanto oggi viene prospettato”. È l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy.
Per l’esperto, il Covid-19 ha travolto il modello economico degli Stati Uniti, un modello ormai troppo esposto alla leva finanziaria e al peso della finanza nell’economia, dove è l’economia reale che sostiene la finanza e non viceversa. Gli interventi monetari e fiscali hanno consentito a molte aziende di rifinanziarsi e di accumulare il più possibile la liquidità necessaria per cercare di rimanere solvibili.
Ma secondo Novelli è difficile che tale liquidità possa essere un potente carburante per la ripresa dell’economia, dato che l’intero settore corporate si è posizionato in modalità sopravvivenza e non è certamente pronto a spendere questa liquidità ma piuttosto ha come priorità quella di sopravvivere alla crisi. “La verità è che tutti gli interventi finora effettuati sono serviti a evitare il default del sistema e non sono dunque utilizzabili per investimenti nell’economia reale”, avverte.
Si delinea ormai in modo sempre più evidente, a detta del gestore, che gli Stati Uniti, a causa del Covid, stanno entrando in un contesto di ‘Japanisation’, dove il settore privato deve ridurre l’indebitamento per rimanere solvibile e quello pubblico lo deve aumentare per compensare l’impatto del deleverage sull’economia.
“Nonostante la dimensione degli interventi, i default nel sistema salgono a ritmi sostenuti e le imprese che hanno già dichiarato bancarotta superano i livelli del 2001 e del 2008, tuttavia sappiamo che la finalità degli interventi è quella di fare in modo che le insolvenze siano il più possibile diluite nel tempo, esattamente come è accaduto in Giappone dopo la crisi degli anni Novanta e contrariamente a quanto è stato fatto dagli Stati Uniti nelle precedenti crisi – osserva Novelli -. Infatti il sistema Usa si è sempre contraddistinto per la velocità con la quale cerca di prendere le perdite al fine di ripartire il prima possibile, ma questa volta la dimensione delle perdite è talmente grande che non è possibile assorbirle in breve tempo. La crisi pandemica non ha colpito un settore dell’economia come in passato, ma l’intera struttura economica e finanziaria, rendendo dunque il danno talmente ampio che non è possibile assorbirlo in breve tempo”.
“Tutto questo rende praticamente impossibile una rapida ripartenza lasciando fallire chi deve fallire per ‘ripulire’ il sistema, è invece probabile che l’economia mondiale sia vulnerabile a una serie di ricadute frequenti e ripetute non appena viene rimosso anche solo in parte il supporto fiscale – sottolinea quindi il gestore -. Questo è quello che è accaduto in Giappone e probabilmente questo è quello che accadrà all’economia nei prossimi anni, dato che l’intero sistema è diventato ormai estremamente dipendente dagli stimoli fiscali”.
Il contesto geopolitico intanto è in costante deterioramento e il processo di de-globalizzazione rischia di accelerare per lo scontro frontale Usa-Cina su commercio e tecnologia. Per Novelli però l’America affronta per la prima volta uno scontro geopolitico in una posizione di debolezza economica che rischia di compromettere la tenuta dell’architettura economico-finanziaria di Bretton Woods. “È sempre stata la forza dell’economia Usa a consentire il successo degli Stati Uniti nei confronti storici con Germania e Giappone nel 1940 e con l’Unione Sovietica alla fine degli anni ottanta. Oggi la congiuntura è molto diversa perché l’economia americana ha un deficit con l’estero del 60% del Pil (mentre a quei tempi era in avanzo) e il debito che serve a finanziare la crescita è detenuto prevalentemente dall’Asia, un’area la cui influenza vede l’ascesa indiscussa del suo principale competitor globale”, fa notare.
Cina e Giappone detengono il 40% delle riserve valutarie in dollari ma il Giappone, che è un alleato degli Stati Uniti, ha oggi più intercambio commerciale con la Cina (20%) che con gli Usa (15%). Secondo il gestore, se la Cina, come prima o poi accadrà, inizierà a utilizzare il renminbi negli scambi commerciali con l’Asia, il ruolo del dollaro subirà un inevitabile ridimensionamento nell’allocazione del paniere delle riserve valutarie e la Cina è destinata a prendersi una parte importante in tale allocazione.
“Sebbene il ruolo del dollaro rimarrà ancora prevalente, è certo che la Cina si appresta a diventare un forte competitor sul mercato dei capitali, attirando una parte di flussi che oggi sono prevalentemente investiti solo sul dollaro. Per questo motivo è molto probabile che il lungo trend di leva finanziaria sempre più esasperata, che ha caratterizzato i cicli di crescita dell’economia Usa dal 1980 ad oggi, è giunta al suo apice”, puntualizza, aggiungendo che negli ultimi cinque anni il debito nel sistema Usa è cresciuto a ritmi del 14% all’anno mentre in Europa o in Giappone cresceva al 5% circa, un ritmo quasi triplo rispetto al resto del mondo occidentale. Tale ritmo di espansione della leva finanziaria ha consentito all’economia Usa di crescere più di altri Paesi, ma con una serie di crisi finanziarie piuttosto costose e devastanti.
“Oggi è evidente che il modello di crescita ha mostrato le sue vulnerabilità perché a ogni crisi le perdite sono sempre più ampie così come gli interventi richiesti. La concomitanza di alto debito nel sistema Usa e la necessità di ridurlo con l’avvento del renminbi come divisa convertibile, espone il sistema economico americano a una perdita di flussi di capitale che possono essere compensati solo dal Qe della Fed, ma più la Fed stampa moneta per sostenere il debito più il dollaro si espone al deprezzamento sui mercati – conclude Novelli -. Per questo motivo la congiunzione astrale per la tenuta del sistema di Bretton Woods si è fatta particolarmente difficile e non si può escludere che questa crisi possa portare a un parziale riassetto degli equilibri globali, con ovvie ripercussioni sui flussi di capitale e sul modello capitalistico che ha contraddistinto gli ultimi vent’anni”.