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Ripresa ‘verde’ o ‘marrone’: cosa cambia per gli investitori

Secondo Schroders, una ripresa a basse emissione sarebbe più solida. Ecco i possibili vincitori

Le emissioni di anidride carbonica sono crollate insieme al calo dell’attività dovuto alla pandemia e l’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che le emissioni annuali di CO2 a livello globale si ridurranno di circa 2,5 giga tonnellate, a poco meno di 31 Gt, circa l’8% in meno rispetto al 2019. Si tratterebbe del livello più basso dal 2010. Non solo: per quest’anno si prevede che la domanda totale di energia primaria si contrarrà a livello globale di circa il 6%, pari a uno shock circa sette volte superiore a quello verificatosi durante la crisi finanziaria del 2008-09. Tuttavia, come sottolinea Irene Lauro, economista di Schroders, le emissioni tendono a muoversi di pari passo con l’attività economica, e quindi dovrebbero rimbalzare via via che la ripresa diventa più solida. Alle scorse crisi ha fatto seguito una ripresa ‘marrone’, in cui l’economia continuava a basarsi sull’energia fossile, ma questa volta potrebbe andare diversamente?

Per l’esperta potrebbe essere il momento giusto per una ripresa ‘verde’. “La pandemia ha cambiato in modo significativo le previsioni per il mercato del petrolio – spiega -. La domanda di petrolio deriva in buona parte dal settore dei trasporti, che è stato colpito drammaticamente dai lockdown. Le aspettative per il settore aereo suggeriscono che la domanda di viaggi resterà probabilmente contenuta finché non ci sarà un vaccino o una cura per il coronavirus”.

Allo stesso tempo, secondo Lauro le pressioni strutturali di lungo termine sull’industria del petrolio permarranno anche quando la pandemia migliorerà. “L’industria era già sotto pressione prima del virus, a causa delle preoccupazioni ambientali e di regolamentazioni pubbliche più stringenti – fa notare -. Dopo aver generato solidi rendimenti a inizio millennio, l’industria dei combustibili fossili ha iniziato a sottoperformare rispetto all’S&P500 nel 2014, con il crollo dei prezzi del petrolio.

È probabile che questo trend continuerà, con le pressioni al ribasso sui prezzi del petrolio derivanti da una minore domanda per i viaggi e un potenziale passaggio a fonti energetiche più pulite, come le rinnovabili”.

“Negli ultimi mesi abbiamo visto diversi annunci di write off dalle società petrolifere, che indicano la possibilità che milioni di dollari di petrolio e gas siano lasciati sottoterra a causa dei minori prezzi energetici. Tuttavia, anche le pressioni ambientali stanno giocando un ruolo importante, in tal caso anche se i prezzi del petrolio torneranno a salire, molti di questi asset potrebbero non essere estratti”, precisa l’economista.

Secondo la Transition Pathway Initiative (TPI), che valuta la preparazione delle società alla transizione verso un’economia a minori emissioni, meno di tre anni fa nessuna azienda europea aveva fissato dei target per ridurre l’intensità di carbonio dell’energia che forniva. Oggi tutte le aziende valutate da TPI hanno fissato target in tal senso. Inoltre, cinque tra le principali compagnie (BP, Eni, Repsol, Shell e Total) hanno aggiornato di recente i loro obiettivi ambientali di lungo termine. Repsol e Total si sono allineate all’iniziativa Paris Pledges e Shell ora prevede di ridurre l’intensità delle sue emissioni del 65% entro il 2050.

Come per ogni transizione complicata, ci saranno vincitori e sconfitti. E la pressione affinché le aziende si preoccupino dei cambiamenti climatici è destinata a crescere: i mercati finanziari dovrebbero quindi iniziare a includere nelle loro valutazioni il rischio economico della transizione verso minori emissioni.

“Nello specifico, per limitare le emissioni globali dovremmo ridurre la quantità di combustibili fossili utilizzati. Tuttavia, le attuali valutazioni delle aziende energetiche, per esempio, assumono implicitamente che le loro riserve di energia abbiano valore di mercato futuro. Se ciò cambierà, ci saranno conseguenze per i mercati azionari – avverte Lauro -. per limitare l’aumento delle temperature globali entro i 2°C, come stabilito dagli Accordi di Parigi, circa il 60% delle riserve di petrolio e gas e più dell’80% di quelle di carbone dovrebbero restare inutilizzate, portando a una crescita degli ‘stranded asset’, investimenti già effettuati ma che non saranno in grado di generare ritorni prima della fine della loro vita economica. Si tratta di un rischio chiave per i mercati, che sembrano non aver ancora prezzato uno scenario simile.

Insomma, per l’economista una ripresa ‘verde’ potrebbe essere più solida di una ripresa ‘marrone’. “Per concludere, una ripresa ‘verde’ potrebbe non solo essere di beneficio per l’ambiente, ma anche rivelarsi più solida rispetto a una ripresa accompagnata da un rimbalzo delle emissioni – afferma -. Una recente ricerca mostra che gli investimenti in energia pulita creano tre posti di lavoro per ogni posto perso nel settore dei combustibili fossili, e che per ogni milione di dollari che passa dal fossile all’energia verde vengono creati in media cinque posti di lavoro. Essendo il segmento dell’energia verde relativamente nuovo, la decarbonizzazione probabilmente porterà a un aumento notevole della produzione e dell’installazione di tecnologie rinnovabili, fornendo un supporto necessario all’occupazione in un momento in cui i governi stanno tentando di far ripartire l’economia”.

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