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Tre ragioni per puntare sui mercati emergenti

Secondo Capital Group,  le prospettive per gli emergenti sono ottimistiche nel medio termine e si estenderanno a mercati che non sono stati il primo pensiero per gli investitori. Ecco quali

Nell’era post Covid si è assistito a un reset dei mercati finanziari da molti punti di vista: tassi di interesse, aspetti geopolitici e paradigmi di crescita. Tale condizione ha comportato anche una nuova definizione del panorama per i mercati emergenti. E, secondo Lisa Thompson, gestore di portafoglio azionario di Capital Group, la prossima fase di crescita per i mercati emergenti sarà diversa rispetto agli ultimi vent’anni. “L’economia cinese è maturata e sta attraversando un difficile periodo di riforme – spiega -. Le tensioni geopolitiche e la transizione energetica mondiale stanno spingendo gli investimenti esteri verso un mix più ampio di Paesi in via di sviluppo per il fabbisogno produttivo e di risorse naturali. Inoltre, le riforme governative stanno cambiando la traiettoria di alcuni Paesi in via di sviluppo, come l’India e l’Indonesia. A nostro avviso, le prospettive per i mercati emergenti sono ottimistiche nel medio termine e si estenderanno a mercati che non sono stati il primo pensiero per gli investitori”.

1. L’inflazione e i tassi di interesse seguono un trend discendente

La Thompson fa notare che le banche centrali di molti Paesi in via di sviluppo, in particolare in America Latina, hanno operato un rialzo dei tassi prima della Federal Reserve statunitense, al fine di neutralizzare il più possibile gli effetti dell’inflazione. “La maggior parte dei mercati emergenti non ha avuto la capacità di intraprendere il quantitative easing nel corso dell’ultimo decennio, che ha penalizzato i tassi di crescita dei mercati sviluppati – osserva -. Con il rallentamento dell’inflazione in alcuni Paesi emergenti, è probabile che le banche centrali di questi mercati si orientino verso un taglio dei tassi nei prossimi mesi e trimestri”.

Molte hanno già iniziato, tra cui Brasile, Cile, Ungheria e Cina. “Un calo dei tassi e delle pressioni inflazionistiche dovrebbe favorire le economie e, di conseguenza, le aree cicliche del mercato – precisa l’esperta -. Le autorità monetarie dovranno bilanciare la pressione sulle proprie valute dovuta al calo dei tassi di interesse con il sostegno alle economie nazionali. Nel complesso, riteniamo che le minori pressioni inflazionistiche e il calo dei tassi dovrebbero favorire le economie e i mercati azionari dei mercati emergenti”.

2. Le economie sono sostanzialmente più solide

Il profilo economico di molti Paesi dei mercati emergenti è nettamente migliore rispetto a quello di un decennio fa. “I bilanci statali sono più solidi – prosegue la Thompson -. Nel 2021, i surplus delle partite correnti delle economie in via di sviluppo hanno totalizzato 480 miliardi di dollari Usa, ovvero più del triplo di quanto registrato nel 2019. Inoltre, durante la pandemia, a differenza di quanto accaduto in molti mercati sviluppati, i policymaker dei Paesi in via di sviluppo non hanno elargito grandi aiuti ai privati, il che ha aiutato la loro posizione fiscale”. 

Le riforme statali hanno semplificato l’attività d’impresa in Paesi, come l’India. “Il governo indiano – spiega l’esperta – ha avviato riforme orientate all’imprenditoria e introdotto un sistema di identificazione digitale che hanno accelerato la crescita favorendo l’espansione del credito e portando ampie fasce dell’economia al livello formale. I programmi di incentivazione legati alla produzione elaborati per allargare la base manifatturiera nazionale dell’India stanno a loro volta acquisendo slancio. L’Indonesia ha costruito più aeroporti, strade e porti marittimi, ha aperto un maggior numero di settori alla possibilità di ricevere investimenti esteri e ha cercato di ridurre le procedure amministrative apportando modifiche alle norme fiscali e sul lavoro”. 

3. L’indebolimento del dollaro dovrebbe fornire sostegno nel medio termine

Secondo l’analista valutario di Capital Group, il dollaro Usa è sopravvalutato rispetto alla maggior parte delle valute principali e dei Paesi emergenti, in base a diversi parametri. “Nel breve periodo – chiarisce quindi la Thompson – il dollaro potrebbe mantenere la forza nei confronti di diverse valute principali, tra cui l’euro, lo yen e la sterlina britannica, grazie soprattutto ai differenziali dei tassi di interesse. A medio termine, i nostri analisti e gestori di portafogli obbligazionari globali prevedono un indebolimento del dollaro o, come minimo, un suo mantenimento ai livelli attuali”.

Per quanto riguarda i mercati emergenti, in molti Paesi i tassi di riferimento delle banche centrali sono più alti rispetto agli Stati Uniti. Anche se alcune banche centrali hanno iniziato a tagliare i tassi di interesse in seguito al calo dell’inflazione, i tassi nominali rimangono ancora elevati. “Molti Paesi dei mercati emergenti presentano inoltre surplus delle partite correnti, mentre gli Stati Uniti e le altre principali economie sviluppate registrano dei disavanzi. Questa situazione dovrebbe essere di buon auspicio per le valute dei mercati emergenti nel medio termine”, afferma quindi l’esperta. Che conclude: “Negli ultimi 12 mesi alcune valute dei mercati emergenti hanno iniziato a compiere progressi rispetto al dollaro, in particolare il peso messicano e il real brasiliano. Ciò dovrebbe favorire i rendimenti di tali mercati, grazie all’effetto delle operazioni di conversione valutaria sui portafogli”.

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