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Tre ragioni per puntare sui titoli growth

Azionario Usa

Per T. Rowe Price, la ciclicità delle big tech, l’aumento dell’inflazione di base e dei tassi d’interesse e la deglobalizzazione creeranno nuove opportunità per gli investitori growth

Il 2022 è stato un anno difficile per i titoli growth, che hanno registrato ampie sottoperformance rispetto al value. Ma per Paul Greene, portfolio manager di T. Rowe Price, una delle lezioni imparate dai mercati ribassisti è che i cambiamenti che ne derivano possono dare forma ai rendimenti futuri e premiare gli investitori più pazienti. In particolare, a detta del portfolio manager, sono tre i cambiamenti che potrebbero creare nuove opportunità per gli investitori growth: la ciclicità delle big tech, l’aumento dell’inflazione di base e dei tassi d’interesse e la deglobalizzazione.

La ciclicità nelle big tech

Dopo oltre un decennio di forti performance azionarie, lo scorso anno le piattaforme internet più famose, Alphabet, Amazon, Meta Platforms e Netflix, hanno subito notevoli pressioni. Gli ultimi 12-18 mesi hanno insomma confermato che le storie di crescita più popolari non sono immuni alle perturbazioni e alla debolezza dell’economia in generale, un netto cambiamento rispetto alla narrativa che circondava queste società prima e durante la pandemia di coronavirus. “Alcuni venti contrari sono stati specifici del settore – spiega Greene -, come le modifiche alle politiche sulla privacy che hanno compromesso l’efficacia della pubblicità online mirata di alcuni social media. Più in generale, le dimensioni e la maturità delle grandi aziende di Internet sembrano aver reso le loro attività principali più cicliche, ovvero sensibili alle fluttuazioni dell’economia”.

Il lato positivo, per il portfolio manager, è che le grandi big tech hanno comunque generato un flusso di cassa significativo e stanno cercando di inserirsi in mercati con grandi potenzialità. “Le valutazioni interessanti e la ciclicità della pubblicità e degli acquisti online potrebbero offrire ai titoli di queste aziende tech un significativo rialzo in un’eventuale ripresa”, afferma.

Inflazione e tassi di interesse

Passando a inflazione e i tassi d’interesse, questi secondo Greene dovrebbero moderarsi rispetto ai picchi raggiunti, ma è probabile che si assestino su livelli più alti rispetto a quelli dell’ultimo decennio. “È improbabile che emergano soluzioni facili – osserva – a causa di alcuni dei principali fattori alla base della carenza di manodopera negli Stati Uniti e della recente inflazione salariale, che comprendono temi come l’invecchiamento della popolazione e il calo dell’immigrazione negli Usa e l’epidemia degli oppioidi e gli effetti a lungo termine del Covid. Livelli di inflazione più elevati suggeriscono che l’era dei tassi di interesse prossimi allo zero è terminata”. 

In questo contesto, la valutazione, ovvero quanto gli investitori sono disposti a pagare per una quota degli utili o del flusso di cassa di una società, avrà probabilmente maggiore importanza. “Uno dei motivi è la concorrenza: l’aumento dei rendimenti obbligazionari offre agli investitori più alternative alle azioni – prosegue -. In un simile contesto, l’aumento degli utili e dei free cash flow (anziché l’aumento delle valutazioni) potrebbe diventare un importante motore di rendimento. Questo scenario potrebbe favorire le strategie growth che enfatizzano la disciplina delle valutazioni e la qualità dei business”.

Nuovi trend di deglobalizzazione: il settore dei semiconduttori

La pandemia di coronavirus e la guerra in Ucraina, così come le crescenti tensioni geopolitiche in Asia, hanno evidenziato le vulnerabilità create da decenni di globalizzazione che hanno costruito una complicata rete di catene di approvvigionamento ottimizzando i costi e l’efficienza. Il rafforzamento delle catene di fornitura cruciali è diventato quindi una priorità strategica, una tendenza potenzialmente inflazionistica che potrebbe creare opportunità di investimento in alcuni settori.  “Si pensi ai semiconduttori – sottolinea il portafoglio manager -. I policymaker ritengono che l’accesso a questi chip sia cruciale per la competitività e la sicurezza economica di uno stato.

Con l’approvazione del Creating Helpful Incentives to Produce Semiconductors (CHIPS) and Science Act del 2022, gli Stati Uniti si sono uniti ai Paesi che hanno adottato politiche a sostegno della produzione nazionale di semiconduttori”.

Per Greene, nei prossimi anni la spinta strategica verso la ‘riqualificazione’ della produzione di semiconduttori dovrebbe aumentare il fabbisogno di strumenti e attrezzature utilizzati nel complesso processo di fabbricazione dei chip: una tendenza che rafforzerebbe altri fattori di spinta della domanda a lungo termine, come le più ampie spinte all’elettrificazione e alla digitalizzazione dell’economia. “Ciò significa che l’industria dovrà affrontare costi più elevati per espandere la capacità produttiva – evidenzia -. La combinazione tra la crescita della domanda e l’aumento dei costi di produzione incrementali dovrebbe tradursi in un aumento dei volumi di vendita e dei prezzi dei semiconduttori, che potrebbe rafforzare i margini di profitto di alcuni produttori di chip. Allo stesso tempo, siamo consapevoli dell’incertezza delle prospettive economiche e della probabilità che la domanda di chip nei data center e nelle automobili possa indebolirsi ulteriormente”. 

Trend futuri

Guardando al futuro, l’ascesa dell’intelligenza artificiale ha suscitato molto scalpore. Ma secondo Greene il recente lancio e la popolarità dei cosiddetti modelli di IA generativa, in grado di produrre risposte testuali e grafiche a domande o richieste dell’utente, per quanto serie o insensate, ha reso questo tema più tangibile per l’industria e gli investitori. “Dunque, bisognerà prestare molta attenzione al modo in cui l’IA generativa e gli algoritmi di autoapprendimento potrebbero guidare l’innovazione e la disruption nell’economia digitale e nel mondo reale”, conclude.

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